Il Messaggero, 3 marzo 2015
L’ascesa di Vincenzo De Luca, lo sceriffo fascio-comunista che ha schivato la rottamazione. Il partito romano lo ha sempre snobbato e sottovalutato: da simil-dipietrista a simil-berlusconiano
Ora se la ride e parla di sé come fosse El Pibe de Oro salernitano: «Volevano spingere Maradona ad andarsi a sedere in panchina, mentre stava per vincere la Coppa del Mondo». Vincenzo De Luca si paragona a Diego ma è anche un po’ Bruscolotti (”Palo ’e fierro” era il soprannome del leggendario terzino del Napoli) perché da tipo tosto, da fascio-comunista con qualche macchia ma senza paure ha resistito a Renzi e all’intero Pd nazionale che non lo volevano in gara alle primarie dopo la condanna per abuso di ufficio e anche prima. Ma ora De Luca ha stracciato, dieci a zero e palla al centro, ridicolizzandolo, Roberto Saviano. Il quale, dall’alto di una presunta cattedra di autorità morale e di censore radical chic, alla vigilia della gara di domenica ha sentenziato l’obbligo etico dell’astensione: perché «i candidati sono espressione della politica del passato e le elezioni saranno determinate da voti di scambio». Risultato: affluenza record e trionfo del candidato più inviso allo scrittore rivelatosi, e non per la prima volta, campione dell’opinione mediatica sulla politica che prescinde dalle dinamiche territoriali e non sa vedere la politica com’è nella realtà e fuori dai salotti. Ha anche dimostrato, lo sceriffo fascio-comunista campione del pugno di ferro in guanto d’acciaio e sospeso da sindaco per incompatibilità con la vecchia carica di sottosegretario nel governo Letta, quanto weberianamente parlando (egli si laureò all’università di Napoli con il filosofo Biagio De Giovanni) la politica come professione alla fine prevalga, con tutti i suoi limiti e in questo caso anche con le storture demagogico-personalistiche in salsa indigena, sulla mediatizzazione e sulla liquidità della neo-politica al tempo del tweet.
CACICCO
Il personaggio è quello che è: old; rude e pragmatico come piace agli elettori di destra che in parte lo hanno votato; tutto sburocratizzazione, legge & ordine e scarso ambientalismo come dimostra il faraonico progetto del Crescent sul lungomare della sua città. Se ai tempi di D’Alema i famigerati «cacicchi» (ras locali nel linguaggio del Leader Massimo) erano Bassolino o Leoluca Orlando, in epoca renziana il «cacicco» che s’impone, in controtendenza, è De Luca. Ma sono anche altri antichi comunisti d’apparato, per niente dem-glam, come Mario Oliverio in Calabria che prima ha vinto le primarie e poi è diventato presidente della Regione. Per non dire del caso Sicilia, dove in mancanza di un ricambio di classi dirigenti nella sinistra e mentre il renzismo come innovazione stenta a superare lo Stretto di Messina, gli uomini del vecchio potere dei tempi di Totò Cuffaro e quelli un tempo legati all’autonomismo isolano di Raffaele Lombardo si riciclano in chiave democrat.
Che Renzi abbia un problema di personale politico al Sud, dove la rottamazione non è arrivata, è evidente. Così come è clamoroso questo particolare: Renzi che fu a suo modo un «cacicco», se non altro nel senso che aveva potere locale come presidente della Provincia e come sindaco di Firenze, si trova in casa Pd alle prese con questo colpo di coda (o è un ritorno al futuro?) del localismo d’antan assai poco Leopolda.
La vecchia volpe cinque anni fa, al congresso dell’Italia dei Valori, fu accolto da star e da eroe dell’anti-garantismo e della tolleranza zero. Ma da mezzo dipietrista si è trasformato, nella vicenda dell’incompatibilità e nella condanna per abuso d’ufficio, in quasi berlusconiano («La magistratura ce l’ha con me? Io vado avanti lo stesso») e la sua insistenza nel ruolo della vittima dei cavilli e dei pregiudizi legali può avergli giovato in queste primarie su una terra abituata a un tale genere di sentimenti. E insieme lo ha reso più simile, a lui che si atteggiava a diverso («Gli altri fanno chiacchiere, io faccio fatti»), a quel ceto politico tradizionale, pieno di inquisiti.
IMMAGINE
De Luca ora deve difendere se stesso dal rischio decadenza causa legge Severino, nel caso diventerà governatore. Intanto, con il suo stile guappo, ha l’aria di dire: «Me ne infischio!». Come ha sempre fatto di fronte alle sue questioni giudiziarie. Galvanizzando clientes e tifosi ma non dando una buona immagine alla terra che dice di amare.