il Fatto Quotidiano, 2 marzo 2015
Una scuola senza internet. In quasi un istituto su due la connessione non raggiunge le classi. Altro che ambienti di apprendimento virtuale...
All’istituto comprensivo “Gramsci” di Camponogara (Venezia) i tablet alla classe quinta B del plesso “Don Milani” li hanno comprati i genitori e oggi gli alunni di questa scuola fanno lezione con il metodo “Classroom”.
La “Diaz” di Ponte a Mensola (Firenze) ha vinto un bando di diecimila euro per l’acquisto di tablet e lavagne multimediali. Una bella notizia. Almeno all’apparenza dal momento che una volta arrivati gli strumenti mancava qualcosa di essenziale : il cablaggio e la rete wi-fi. Al “Mamiani” di Roma, la preside ha fatto un appello pubblico e sono arrivate da una nota marca di computer, cinquanta postazioni per i ragazzi dello storico liceo classico.
E intanto tra Sicilia, Puglia, Campania e Calabria 260 presidi su 300 hanno rifiutato la proposta del Garr, il consorzio che gestisce la super-rete in fibra ottica della ricerca scientifica in Italia: superveloce e gratuita in cambio di un canone di manutenzione di tremila euro per cinque anni. Troppo caro secondo i dirigenti. Anzi impossibile da mantenere visti i tagli ai fondi degli istituti.
Dalla Valle d’Aosta a Palermo, la fotografia della digitalizzazione delle nostre scuole è la cartina di tornasole del sistema d’istruzione italiano.
Nel piano della “Buona Scuola” presentato dal premier Renzi e dal ministro della Pubblica Istruzione Stefania Giannini, si parla di “coding”, di promuovere un nuovo modo di insegnare l’informatica a partire dalla scuola primaria ma intanto ad oggi, secondo i dati del Miur, solo il 10% delle nostre scuole elementari e il 23% di quelle secondarie è connesso a Internet con la rete veloce. Le altre sono collegate a velocità medio bassa, ma con situazioni molto differenziate, e spesso sufficienti a mettere in rete solo l’ufficio di segreteria o il laboratorio tecnologico. Quasi in una scuola su due (46%) la connessione non raggiunge le classi quindi non permette quell’innovazione didattica che la rete può abilitare. Chi fa il maestro nel primo ciclo conosce questi numeri e sa che sono solo il 24,7% delle scuole a poter utilizzare ambienti web. Mentre, secondo il servizio statistico del Miur, nel secondo ciclo la cifra salirebbe a 45,3%. Comunque pochi.
Rare anche le lavagne multimediali presenti nelle aule: alle elementari sono solo il 26,2 % delle classi ad avere la lim e alle medie il 27,3%. Ed ora, nonostante l’utilità di questi strumenti e la certezza che sarà impossibile dotare tutti di un tablet, il Governo Renzi sembra intenzionato a rottamare pure quelle.
Chi non lavora tra i banchi forse non si rende conto ma mentre in Paesi come la Svezia o la Finlandia, avere la rete wi-fi e un personal computer per ogni alunno è normale, in Italia si è costretti a fare lezioni di informatica con tre alunni per banco a causa della mancanza di postazioni: nella primaria si arriva a una media di 10 bambini per ogni computer e sei alla secondaria di primo grado. E non si pensi che la situazione riguardi solo il Sud. Anzi in Sicilia, Sardegna e Calabria i dati sono migliori rispetto alla Lombardia, alla Toscana o al Piemonte. Inutili anche i tentativi di innovazione resi obbligatori per legge: il registro elettronico di recente introduzione è presente solo nel 58,2% delle scuole.
Recentemente il Censis ha fatto il punto sulla questione della connettività: il 25,3% degli studenti di terza media e il 17,9% dei loro colleghi del terzo anno della scuola superiore frequentano scuole prive di connessione alla banda larga, a fronte di corrispondenti valori medi europei di gran lunga inferiori (rispettivamente, 5% e 3,7%). La frequenza di scuole dotate di ambienti di apprendimento virtuale è un’esperienza che coinvolge il 19% degli studenti in uscita dalla scuola media di primo grado e il 33% degli iscritti al terzo anno della secondaria di secondo grado, quote ancora una volta sensibilmente inferiori alle medie europee (nell’ordine, 58% e 61% di studenti, in età corrispondente). Siamo una scuola lontana dall’essere moderna, dall’avere la possibilità di dare agli studenti gli strumenti necessari a entrare nel mondo del lavoro. Abbiamo decisamente perso il treno. Non resta che sperare che i nuovi immessi in ruolo possano portare una ventata di innovazione. Secondo il piano previsto dalla “Buona Scuola” dovrebbero entrare in ruolo da settembre 150 mila docenti, precari storici iscritti alla graduatoria ad esaurimento oltre a qualche migliaio di insegnanti iscritti alle graduatorie d’istituto. Entro giugno inoltre dovrebbe essere bandito un nuovo concorso per 60 mila persone. Numeri ballerini in attesa del decreto legge che in queste ore è sul tavolo del ministero e di palazzo Chigi. Unica certezza lo “svecchiamento” della classe docente: se si confronta la distribuzione per età degli iscritti della Gae con quella del personale di ruolo, è evidente che la loro assunzione consentirà di ringiovanire sensibilmente il corpo docente che oggi ha un’età media di 51 anni, con un picco di presenza in servizio a 59 anni.