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 2015  marzo 02 Lunedì calendario

Settantasette anni, ingegnere mancato, l’uomo più liquido di Genova (in cassa ha più di un miliardo). Ecco chi è Vittorio Malacalza, il capitano dell’industria che si è lanciato nell’avventura del credito. Imprenditore con un fiuto straordinario per gli affari ma di una litigiosità congenita

Mai dire mai. Al culmine della battaglia sulla Camfin, chiave di volta per controllare la Pirelli, sosteneva con malcelato orgoglio che lui, a differenza dell’ex amico e socio Marco Tronchetti Provera, non era un uomo di finanza e di giochetti in Borsa. «Sono uomo di industria e di fabbriche – diceva Vittorio Malacalza agli amici – Mi piace vedere e toccare i prodotti: un rotolo d’acciaio, un magnete o una macchina diagnostica». Eccolo invece lanciarsi ora alla conquista della banca della sua città, quella Carige uscita con le ossa rotte da oltre vent’anni di gestione truffaldina da parte dell’ex presidente Giovanni Berneschi, arrestato e inquisito dalla procura di Genova.
Socio scomodo
Per carità, nessuna sorpresa: a Genova sono abituati alle giravolte di questo poliedrico imprenditore originario di Bobbio (Piacenza), imparentato attraverso la moglie con il regista Marco Bellocchio. Un fiuto straordinario per gli affari, ma anche una litigiosità, secondo i maligni congenita, con i partner del momento. Si chiamino Bruno Bolfo (acciaio), famiglia Messina (il tentativo di rilancio della Ferrania, con tanto di progetto di centrale elettrica progettata da Giovanni Gambardella) o, appunto, Tronchetti Provera.
Quando si è trattato di individuare un nuovo socio forte per Banca Carige, a Genova hanno inevitabilmente pensato a lui, Malacalza, l’uomo più liquido della città, grazie ai 1.100 milioni di euro incassati dalla vendita della sua Trametal al magnate ucraino Rinat Achmeton. Chi lo conosce sa che gettarsi in questa impresa, diventare il punto di riferimento dell’istituto di credito dei genovesi, lo ha tentato fin dal primo momento. Non per sentimentalismo, anche se la cosa ha un indubbio sapore di rivalsa: lui non era nel giro di Berneschi, anzi proprio l’ex presidente di Carige ha organizzato la fronda nei suoi confronti quando si è candidato alla guida di Confindustria Genova. Malacalza si è fatto due conti e si è convinto che ai prezzi odierni, con un investimento iniziale di un centinaio di milioni, può diventare il primo azionista dell’istituto di credito, nominarne in base allo statuto presidente e vice, essere determinante per la governance.
Il rapporto con i figli
Mattia e Davide, i figli ai quali ha devoluto in parti eguali il ricavato della vendita di Trametal e che mandano avanti le attività del gruppo (import-export siderurgico, la joint venture con i cinesi di Shanghai Baosteel che distribuisce in Europa 1 milione di tonnellate di acciaio di altissima qualità, costruzione di infrastrutture in acciaio, elettromeccanica hi-tech con Asg, ex Ansaldo Superconduttori, che fornisce i magneti al Cern di Ginevra, e biomedicale) all’inizio erano decisamente contrari. Temono le inevitabili pressioni della politica attraverso il mantenimento di un rapporto con la Fondazione. Ma è difficile opporsi a uno come Vittorio Malacalza quando si mette in testa una cosa. Anche per i figli.
Da Bobbio a Genova
Settantasette anni, ingegnere mancato (la laurea, honoris causa, gliela conferirà l’Università di Genova), Malacalza a vent’anni subentra al padre, morto improvvisamente, nella piccola azienda di costruzioni nel bel paese di Bobbio, in Val Trebbia. Sarà sempre il suo buen retiro: lì trova moglie, lì ogni estate rivede gli amici, come l’amministratore delegato di Unicredit, Federico Ghizzoni, suo grande consigliere nella vicenda Carige. Da Bobbio, negli anni del boom edilizio, il salto a Genova. Opera nel settore autostradale, ma le costruzioni non sono propriamente il destino dell’intraprendente Malacalza. A cavallo degli anni ’70 e ’80 le Partecipazioni statali vivono uno dei tanti momenti di turbolenza. Nella Finsider si mette in mostra un giovane manager, vero mago del trading di acciaio, soprattutto con gli Stati Uniti: si chiama Bruno Bolfo e cambierà la sua vita. Bolfo in maniera rocambolesca esce da Finsider e fonda una sua società, la Duferco, sfilando business e clienti al gruppo pubblico. Di questa Duferco (oggi è un colosso della siderurgia europea con quasi 4 miliardi di euro di fatturato, partecipato dai cinesi) Malacalza diventa socio proprio mentre Bolfo allaccia stretti rapporti con Giovanni Gambardella e la pubblica Ilva. Sono anni di grandi affari e di guadagni favolosi. Ma nel 1995, quando Bolfo decide il salto dal trading all’industria, Malacalza si fa improvvisamente liquidare e con la fortuna realizzata costruisce un gruppo industriale che fattura oltre 500 milioni di euro, il cui fiore all’occhiello è Trametal. La vende e investe in parte in Camfin. Esce da Camfin e si ritrova con il 7% di Pirelli, ripagandosi abbondantemente l’investimento. Nella casa degli pneumatici è alla finestra. Non vende e, dicono i bene informati, aspetta. Quella partita, per lui, non è ancora finita.