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 2015  marzo 02 Lunedì calendario

Tv, dietro la guerra delle Torri (e non solo). Web e Telecom sempre più in onda. L’arrivo di Netflix e la sfida on demand esaltano il ruolo della tecnologia per trasmettere

All’indomani dell’offerta pubblica di acquisto e scambio di EiTowers (Mediaset) su RaiWay, per il momento respinta dal governo, parlare di terremoto televisivo sarebbe banale. Troppi ne abbiamo visti, sismi dell’etere, in questi anni. Meno banale, invece, è chiedersi a quale logica, a quali scenari, a quale futuro corrispondano i sommovimenti in corso.
Alla base di tutto c’è l’ingresso impetuoso della tivù nel mondo Internet. Tu chiamala, se vuoi, convergenza. È il vero segno dei tempi: di cui Netflix, l’azienda americana di streaming video che sta per fare il suo ingresso anche in Italia, rappresenta il simbolo. Nei mercati mediaticamente più evoluti, come il Regno Unito, Netflix (distributrice ma anche produttrice di serie tv ormai famose come House of Cards) è già una realtà di primo piano.
Scenario
Nel mondo della nuova convergenza non c’è però un unico modello di sviluppo. Da alcuni mesi è sempre più intensa l’attività degli operatori di telecomunicazioni nel business del piccolo schermo. Sono loro, ad esempio, che in Spagna gestiscono la televisione a pagamento: l’operatore storico Telefonica con Digital +, Vodafone con Ono, Orange con Jazztel.
«È un convergere di tecnologie e di interessi – dice Augusto Preta, di ITMedia Consulting – che vede i telco cercare nello sviluppo del video una corrente ascensionale per la domanda di banda larga, una crescita capace di compensare i profitti calanti delle telefonate e del traffico dati».
Un intervento che può essere diretto, come nel Regno Unito, dove il primo operatore, Bt, non si limita a distribuire televisione altrui sui propri cavi, ma entra nel campo dei contenuti, acquistando tutti i diritti della Champions League e parte della Premiere League, con un investimento da 3 miliardi di euro in tre anni. Oppure indiretto, come in Italia, dove Telecom e Sky realizzano l’accordo per offrire sulle reti telefoniche, a partire da aprile, i programmi della tivù satellitare.
Negli Stati Uniti, i nuovi entranti come Neflix e Hulu, fornitori di contenuti video online a richiesta, sono già una potenza. Lo testimonia il fatto che i servizi di video on demand via Internet hanno ormai superato, per consistenza di pubblico, la televisione a pagamento gestita dagli operatori televisivi tradizionali, i broadcaster.
Il passaggio del pubblico, soprattutto giovane, alla tivù on demand via Internet (concausa del sisma attuale) li sta allarmando perché, per la prima volta, si riflette sui bilanci delle maggiori società mediatiche a stelle e strisce: colossi del calibro di Viacom, 21st Century Fox, Comcast-Nbc Universal e Walt Disney hanno riportato ricavi pubblicitari in calo nelle ultime trimestrali. Un fatto che, secondo il Financial Times, «non ha precedenti».
Che cosa ha a che fare tutto questo con l’opas di EiTowers? Moltissimo. L’arrivo imminente di Netflix dà la sveglia a tutti. Mediaset si sta preparando al nuovo scenario con Infinity, una biblioteca di film e telefilm via web visibili, a richiesta e a pagamento, su tutti i dispositivi tecnologici, dal televisore al pc, dallo smartphone alla console per videogiochi. Sempre attraverso Infinity, la tivù berlusconiana ha stretto un accordo con Vodafone per la fornitura di programmi sulla rete dell’operatore mobile.
«Anche nel nuovo mondo convergente – dice Preta – resta però fondamentale il ruolo delle infrastrutture e delle torri: quelle di Wind, che interessano agli spagnoli di Abertis, come quelle televisive di EiTowers e di RaiWay. Sia perché servono a rafforzare la posizione dei broadcaster nell’offerta tradizionale. Sia perché, in prospettiva, diventeranno sempre più un veicolo di trasmissione anche per Internet mobile».
Anomalia
Qui s’innesta però un problema tutto italiano: il nostro Paese non ha, come il resto d’Europa, un unico operatore che trasporta il segnale televisivo per tutti i broadcaster. Ne ha due: EiTowers di Mediaset e RaiWay, controllata da Viale Mazzini e recentemente quotata. Prima o poi, questa anomalia dovrà essere sanata, a beneficio dell’intero sistema.
In che modo? Altri Paesi hanno scelto (saggiamente) di avere un operatore di trasmissione unico che non appartiene a nessuna delle società televisive sue clienti. I principali esempi sono, in Francia, Tdf e, nel Regno Unito, Arqiva: aziende che forniscono capacità trasmissiva, a parità di condizioni, a tutte le aziende televisive, pubbliche e private.
Si tratta di situazioni il cui aspetto centrale è la separazione proprietaria tra chi dispone delle tecnologie di trasmissione e chi ha i contenuti. Tutto il contrario dell’Italia, dove Mediaset, che già possiede le torri, vorrebbe diventare ancor più verticalmente (monopolisticamente?) integrata.
Il problema, com’è ben presente alla società del Biscione, si pone, si porrà, anche in Italia. Come? La via maestra sarebbe quella di spezzare l’integrazione proprietaria tra possesso della rete e attività editoriale, che ha caratterizzato lo sviluppo del sistema televisivo nazionale. In alternativa, non volendo toccare l’aspetto proprietario, si dovrebbe percorrere, almeno, la strada dell’accesso garantito a tutti gli operatori, un po’ come si è fatto, creando un organismo ad hoc, per la rete di Telecom Italia. La partita, dunque, è cominciata. Mediaset ha fatto la prima mossa. Vedremo la risposta degli altri giocatori, a cominciare dal governo e dall’Antitrust.