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 2015  marzo 02 Lunedì calendario

Le armi segrete irachene e le convinzioni di Saddam che lo hanno reso corresponsabile delle tragiche condizioni del suo Paese. Ma anche l’America ha fatto la sua parte

È luogo comune affermare che Bush attaccò l’Iraq nel 2003 col pretesto di un inesistente arsenale di armi di distruzione di massa. Da quanto ricordo il «casus belli» fu invece la non accettazione, da parte di Saddam, di immediate e ultimative ispezioni Onu deputate al controllo di siti ben definiti. Durante la campagna del 2003, Bush si occupò di vincere la guerra e abbattere Saddam. Forse mi sbaglio, ma il mancato ritrovamento di armi di distruzione di massa fu segnalato in seguenti campagne di stampa, solo dopo alcuni mesi. Questa concatenazione di fatti mi fa ritenere possibile che Saddam possa aver trasferito altrove anche gli arsenali riferiti al «casus belli», bonificando i siti di produzione e accatastamento.
Giovanni Lupato

Caro Lupato,
La guerra all’Iraq faceva parte del progetto dei neoconservatori per il radicale mutamento degli equilibri mediorientali, ed è quindi probabile che gli Stati Uniti avrebbero aggredito il Paese di Saddam Hussein anche se avessero saputo che il dittatore non aveva armi di distruzione di massa. Ma l’argomento fu quello di cui Washington fece il maggiore uso per giustificare la guerra di fronte alla opinione pubblica internazionale. Lo dimostra, tra l’altro, il lungo discorso che il segretario di Stato americano Colin Powell pronunciò al Consiglio di sicurezza dell’Onu il 5 febbraio 2003, poche settimane prima dell’invasione. Mandato allo sbaraglio sulla maggiore tribuna internazionale, il povero Powell proiettò fotografie scattate dai satelliti, commentò astrusi diagrammi, fece ascoltare la registrazione di conversazioni telefoniche tra funzionari iracheni, citò alcuni passi tratti dai rapporti della Agenzia internazionale per l’Energia atomica, brandì il modello di una fiala simile a quelle che vengono usate per l’antrace. Questa esibizione ricordava il discorso del 1962, nella stessa sede, con cui il rappresentante americano all’Onu (Adlai Stevenson) mostrò le fotografie scattate dagli U2 che rivelavano la costruzione di rampe missilistiche nell’isola di Cuba. Ma le rampe esistevano, mentre le armi di distruzione di massa, lungamente ricercate da forze speciali americane subito dopo la conquista dell’Iraq, non furono mai trovate. Non credo che Saddam le abbia trasferite in un altro Paese e penso che l’Intelligence americana, se lo avesse fatto, se ne sarebbe accorta.
È certamente vero, tuttavia, che Saddam Hussein offrì agli ispettori internazionali dell’Agenzia atomica una collaborazione parziale. Aveva altre cose da nascondere? È probabile: nessun governo è disposto ad aprire interamente le porte di casa agli occhi del suo maggiore nemico. Ma forse non gli spiaceva lasciare credere che nei suoi arsenali vi fossero armi segrete e particolarmente letali. Nella politica estera di Saddam vi fu sempre una componente fanfaronesca. Era convinto che gli americani, dopo la tragica esperienza del Vietnam, non avessero lo stomaco per un conflitto che, nelle sue previsioni, sarebbe stato molto più lungo e sanguinoso di quello che l’Iraq aveva perduto dopo la prima guerra del Golfo. Fu il più grave errore della sua carriera politica e divenne così corresponsabile delle tragiche condizioni del suo Paese negli ultimi dodici anni. Ho scritto «corresponsabile» perché anche l’America fece la sua parte.