la Repubblica, 27 febbraio 2015
La sfiducia degli italiani. Siamo i giudici più severi di noi stessi, ma visti dall’estero siamo migliori di quanto pensiamo. La mancanza di autostima è una forma di autodifesa, un modo furbesco di scansare le nostre responsabilità. Per lo storico Guido Crainz «una versione catastrofica dello stato del Paese è sempre stata usata in modo autoassolutorio: siamo sempre stati così... tutti ladroni...»
Su, coraggio, non buttiamoci giù così. Noi italiani siamo meglio di come crediamo di essere. Cioè, crediamo di essere molto peggio di quel che gli altri, nel mondo, pensano di noi. C’è perfino una cifra per questo gap di autostima: meno 15,2 punti su una scala di cento. È la differenza fra il voto medio dell’Italia fuori d’Italia, e quello che ci diamo da soli. Lo ha calcolato il Reputation Institute, società americana di advisor che studia e vende agli investitori privati, da una quindicina d’anni, una sorta di rating dell’onorabilità internazionale dei 55 paesi del mondo col Pil più alto. Una stima che si basa su questionari sottoposti a un campione di 26 mila consumatori residenti nei paesi del G8, ai quali è stato chiesto di dare un voto di gradimento a ogni singolo paese, compreso il proprio, secondo una griglia di parametri molto, e volutamente, vaghi e soggettivi: simpatia e aspetto fisico degli abitanti, ambiente piacevole, buona educazione, consumi attraenti, stile di vita gradevole, dinamismo, onestà, efficienza...
Ebbene: siamo, almeno fra i grandi paesi del mondo, decisamente i più sfiduciati. Il selfie pessimista che ci ripropone la ricerca è nitido: l’Italia piace agli italiani appena sopra la soglia di sufficienza: 50,6 su cento, ma agli stranieri piace molto di più: 65,8. Beffarda cosa questa. Giacomo Leopardi ci scoprì molto indifferenti al giudizio altrui: «dell’opinione pubblica gl’italiani in generale, e parlando massimamente a proporzione degli altri popoli, non ne fanno alcun conto». Ma di solito è una specie di autodifesa dai giudizi peggiori altrui. Ora invece scopriamo di essere noi i giudici più severi di noi stessi, al contrario dei russi, ad esempio, orfani del ruolo di seconda potenza mondiale forse in cerca di autoconsolazione, che si sovrastimano abbondantemente (+35,6) al di sopra della fama di cui godono fuori dai loro confini. Poco meno depressi di noi gli spagnoli, che si giudicano di 10 punti peggiori della stima ricevuta dagli altri.
Ma è davvero scarsa autostima, la nostra, o un modo furbesco di scansare le nostre responsabilità? Per lo storico Guido Crainz «una versione catastrofica dello stato del paese è sempre stata usata in modo autoassolutorio: siamo sempre stati così... tutti ladroni...». Un po’ come quei politici cattolici che, pescati con le mani nella marmellata, si giustificavano: «siamo tutti peccatori». Ma la depressione può essere anche una reazione inconscia alla grande delusione della nostra vicenda nazionale: «abbiamo vissuto il miracolo economico, il boom, anni di grande ottimismo e orgoglio, di primato internazionale, seguiti da una depressione ferocissima». Scottati, ora non c’illudiamo più su noi stessi. Ma se è così, è un’autodifesa controproducente, anzi disastrosa. L’autostima serve. Una qual percezione esagerata di se stessi, un certo ego nazionale ipertrofico sembrano essere indici di un atteggiamento vincente sulla scena internazionale. Non sarà un caso se, subito dopo i vanitosissimi russi, i popoli più autosopravvalutanti sono le tigri asiatiche del Pil, l’India (più 30,4), la Cina (più 27,7) e la Corea del Sud (più 17,5). Dunque, l’autocommiserazione è una protezione o un handicap? La seconda, per Raffaele Marchetti, docente Luiss e specialista di relazioni internazionali: «I paesi con bassa autostima non sono semplicemente meno attraenti per gli investitori e per i turisti; soprattutto sprecano le proprie chance di leadership internazionale. Abbiamo élite politiche molto apprezzate e influenti negli organismi mondiali e nessuno ne parla, e quegli stessi leader non riescono a comunicare agli italiani questa percezione di stima». Al fondo, forse, siamo più che prudenti per il timore che l’orgoglio collettivo si confonda con il patriottismo vuoto di troppi episodi della nostra storia. Ma allora, è più pericoloso sottostimarsi o sopravvalutarsi? I paesi che vanno più vicini al pareggio fra opinione di sé e reputazione esterna sono Francia, Germania e Brasile: forse l’equilibrio è la condizione migliore? Magari va rovesciato lo specchio: la stima degli altri, più che la propria, è il vero termometro della volontà e dell’orgoglio di un paese. La reputazione internazionale della Grecia che lotta contro il baratro del default è salita del 18% negli ultimi tre anni, vorrà pur dire qualcosa.