la Repubblica, 27 febbraio 2015
Il finto cancro di Bossetti che gli dava il tempo di spiare le vicine di casa, giovanissime, su Facebook. E Yara, forse, l’ha puntata in un supermercato, dove era solita far la spesa con la zia Nicla
Un filo lungo quattro anni viene reciso ieri pomeriggio, nell’ufficio del sostituto procuratore Letizia Ruggieri. Il fax di chiusura indagini è partito. Incrimina per omicidio volontario aggravato Massimo Giuseppe Bossetti, 45 anni, carpentiere. Gli contesta anche la calunnia, per aver tentato maldestramente di dirottare le responsabilità sull’omicidio di Yara Gambirasio, tredicenne, studentessa di terza media, su un ultras dell’Atalanta, suo compagno di lavoro. Stanno emergendo numerose informazioni, tenute nel più grande riserbo, sulla capacità di mentire dell’indagato. Persino sua moglie, Marita Comi, lo incalza in carcere, perché ha scoperto che sa «piangere a comando». E che, per assentarsi dal lavoro in cantiere, Bossetti aveva inventato una menzogna particolarmente macabra: «Ma vai a dirgli che avevi un tumore al cervello! Ma che palle racconti! Hanno detto che piangevi (...) questa è una cosa negativa, ti va contro». Bossetti non sa spiegare: «Non mi lasciare», è la frase che ripete più spesso.
I VOLONTARI
Centinaia gli interrogatori eseguiti, anche per trovare riscontri a favore dell’unico indagato. Resta il fatto che il Dna di «Ignoto uno», trovato su slip e leggins della piccola, è, senza dubbi di sorta, il Dna di Bossetti. Ma accanto a questo, ci sono i tantissimi comportamenti personali di Bossetti e numerosi indizi oggettivi, quelli che lo collocano – questo sostiene l’accusa – là dove Yara è scomparsa, là dove Yara è stata ritrovata. Non è per caso se l’«avviso di chiusura indagine» venga mandato il 26 febbraio, alle 17: è la stessa ora in cui, il 26 febbraio 2011, nel campo di Chignolo d’Isola veniva steso il nastro bianco e rosso a delimitare una vasta area: Yara Gambirasio, rapita a Brembate di Sopra e uccisa tre mesi prima, era là. Come sa chi ha letto le carte dell’accusa, la sua piccola «mano destra stringeva un ciuffo di steli e di foglie delle stesse specie campionate nelle immediate vicinanze». Ciò che è scientifico a volte può essere doloroso da sapere e far sapere: «La presenza di queste piante nel pugno della mano destra denota un’attività vitale di afferramento del terreno», quindi diventa logico che Yara «attraverso lo spasmo finale si sia aggrappata agli steli erbosi presenti sul fondo del terreno ove era adagiata poco prima di perdere la vita». «Adagiata»: ma prima presa e girata, come dimostra «l’avvolgimento degli steli intorno alla caviglia destra». Tutto questo porta a dire che Yara è stata trovata là dove è spirata. I volontari non avevano controllato? Si scopre che «non si sono addentrati per più di venti metri nei campi, invece il cadavere era a ottanta metri dal bordo del campo», così stabiliscono le misurazioni tecniche. Fine delle dietrologie.
LA BAMBINA
Sul tavolo del magistrato, nei laboratori dei periti, nelle notti insonni dei carabinieri del Ros, nelle verifiche della polizia, c’era un ordine categorico: «Non lasciare nulla d’intentato». Una verifica ha appena dato un esito sorprendente e destinato a pesare. Una teste – già sappiamo – sostiene di aver visto Massimo Bossetti in un’auto familiare grigia nella zona della palestra, in compagnia di una ragazzina, forse Yara. La stessa teste – rivela Repubblica qualche giorno dopo va al supermercato Eurospin e rivede Bossetti che fa la spesa. «Nessun organo di stampa ha mai divulgato» questo dettaglio, nota la Procura. «La circostanza appare credibile» e allarmante: dell’intera famiglia Gambirasio, l’unica che ci andava era Yara, in compagnia della zia Nicla. È là che lui l’ha «puntata»?
IL PRELIEVO DEL BANCOMAT
Il 4 dicembre 2010 via Rampinelli ospita forse cento cronisti. Tra tutti noi passa Bossetti. Va a fare un prelievo al bancomat del Credito Valtellinese, quaranta passi dalla villa dei Gambirasio. Non l’ha mai fatto prima, perché ha usato, usa e userà sempre banche di un altro circuito. È passato di là perché andava dal commercialista? Riscontri non ci sono, anzi «per l’intero dicembre 2010 Bossetti non ha emesso alcuna fattura».
«CHE CI FACEVI LA’?»
È la stessa moglie, Marita Comi, secondo indiscrezioni attendibili, che in carcere insiste con il marito su un cardine di questa vicenda. Il 26 novembre, quando Yara sparisce, il furgone di Bossetti, l’Iveco Daily targato CH605NZ è alle 18 dal benzinaio davanti alla palestra; cinque minuti dopo in via Rampinelli; alle 18 e 19 zona palestra verso Ponte San Pietro; 18.35 via Caduti dell’Aeronautica verso Locate, poi torna verso Brembate, 18.40 zona palestra verso Brembate, 18.47 stessa zona sempre verso Brembate, 18.51 idem: «Che ci facevi là?». In tutto il Nord Italia, su 14.735 Iveco, tutti tracciati, solo cinque sono come il suo e nessuno era là. Solo lui. E su quel furgone Yara è salita: i Ris hanno recentemente trovato sulla parte posteriore dei suoi leggins sia tracce delle fibre dei sedili del furgone sia tracce della polvere di cantiere.
LE TREDICENNI
Delle sue ricerche porno sui computer già si è scritto, sono stra-confermate, ma emerge che Bossetti dal suo profilo Facebook sia andato in cerca dei profili di alcune vicine di casa, giovanissime. In questi giorni i settanta faldoni di carte sin qui raccolte diventano pubblici. Un’indagine simile per un caso di omicidio non ha precedenti in Italia, e pare nel mondo. Ma sin da subito la fiducia non era mancata: «Lo prenderanno, è uno di noi», dicevano in paese le mamme, sbigottite da una tragedia che può essere di tutti.