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 2015  febbraio 27 Venerdì calendario

Il patto di Mediobanca si scioglie a settembre? Ora tutti negano ma sembra uno scenario più che possibile. Un giallo sulla fine del «salotto buono» della finanza italiana

Riunione con giallo al piano nobile di Mediobanca. Nel giorno in cui consiglieri e manager cominciano a discutere come riformare la governance dell’istituto, ecco che esplode la bombetta. A lanciarla una fonte vicina ai grandi soci che, dietro anonimato, rivela ai cronisti come non sia escluso che a settembre, quando si aprirà una finestra, alcuni soci manifestino l’intenzione di uscire, portando – una volta che dall’attuale 31% la quota sindacata scendesse sotto il 25% – allo scioglimento del patto entro fine anno. E, nel caso, anche alla fine di un’epoca, data la vasta mitologia del «salotto buono» per eccellenza che il patto di Mediobanca porta con sé dai tempi di Cuccia e Maranghi. «In che misura può essere utile stare in un sindacato di blocco e non di voto?», si è chiesto l’anonimo interlocutore, indicando che a uscire (e dovrebbe dare forfait almeno il 6% del capitale perché il patto venisse meno) potrebbero essere i soci italiani con quote minori.
La bombetta non fa in tempo a detonare che viene ricoperta da una pioggia di smentite e di «non risulta». Se dalla banca stessa, per esempio, fanno sapere che nella riunione, dedicata alla governance, «non si è parlato di patto, né di un suo eventuale scioglimento», il primo a tuonare è il socio più pesante. «Per quanto riguarda UniCredit – ha precisato un portavoce dell’istituto – non si è mai ipotizzato finora alcuno scioglimento del patto e tanto meno ci sono state discussioni in tal senso». Nessuna apertura all’ipotesi né dai soci francesi («Non ne ho mai sentito parlare o citare. Non mi risulta assolutamente», assicura il consigliere Tarak Ben Ammar) né dagli italiani che è stato possibile contattare. Qualcuno ipotizza che, nel fermento attuale, la galassia Berlusconi possa dirigere altrove le proprie attenzioni. Ma se da Mediolanum non giunge verbo, da Fininvest non commentano ipotesi di cui, assicurano, non sono a conoscenza. Mistero fitto, insomma.
Invece si cominciano già a delineare le prime convergenze sulla governance, da adeguare secondo le nuove indicazioni di Bankitalia. C’è accordo nel portare il numero dei consiglieri da 18 a 15, riducendo i posti per i manager da 5 a 3: per presidente, amministratore delegato e direttore generale. Dovrebbero raddoppiare i posti per le minoranze, da 1 a 2. Ancora da definire se resterà o meno il comitato esecutivo che, comunque, difficilmente potrà essere guidato dal presidente. Siamo agli inizi di una lunga serie di riunioni informali: si punta a chiudere l’architettura della governance a inizio estate per sottoporla ai soci nell’assemblea di ottobre.