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 2015  febbraio 26 Giovedì calendario

Cene del Pd, c’è una legge che permette di nascondere i finanziatori. La norma del 2014 deroga i partiti dall’obbligo di dichiarare entro 90 giorni i contributi fino a 100mila euro. I dem finora hanno dato 7 nomi su 1.500

È la realtà che è cattiva, ma le intenzioni sono buone, buonissime. Il Pd vorrebbe tanto dire che sono i privati che lo sostengono finanziariamente solo che una serie di sfortunate circostanze glielo impediscono, a partire da una legge che pare fatta apposta per opacizzare il finanziamento privato ai partiti.
Prendiamo il caso delle cene di autofinanziamento di Matteo Renzi: un incasso presunto tra il milione e il milione e mezzo di euro, 1.500 ospiti/finanziatori, 15 contributi inviati alla Camera per essere pubblicati (8 dei quali anonimi) che però non sono pubblicati affatto. Nei tabulati ufficiali non ce n’è traccia e a questo punto si potrebbe dire che il Pd sta violando la legge: quella del 1981 che regola (in parte) la materia prevede che qualunque donazione sotto i 5mila euro al partito venga notificata entro tre mesi con “dichiarazione congiunta” in “un unico documento” alla Camera dei deputati.
Il Pd, però, pur avendo inviato alla Camera solo 15 inservibili autocertificazioni (che valgono solo per la campagna elettorale) non sta affatto violando la legge, perché nel frattempo è arrivata la nuova normativa sul finanziamento ai partiti politici. È un decreto del dicembre 2013 approvato definitivamente un anno fa, febbraio 2014: a palazzo Chigi c’era Enrico Letta e Matteo Renzi era appena diventato segretario del Pd.
L’abolizione dei soldi pubblici alla politica fu uno dei temi su cui l’attuale presidente del Consiglio mise alla frusta il suo predecessore, vincendo: i rimborsi elettorali saranno aboliti dal 2017 e i partiti spinti a finanziarsi sul mercato, per così dire, grazie al 2 per mille volontario nella dichiarazione dei redditi e alle generose detrazioni sulle donazioni dei simpatizzanti (il 26% fino a 30mila euro). Tutto trasparente, assicuravano tutti: proprio per evitare sospetti su natura e finalità dei finanziatori. Nulla sarà nascosto al popolo.
In realtà, però, oltre a tante altre cosette – tipo una cassa integrazione speciale per i partiti – quella legge mette una pietra tombale proprio sul nome di chi dà soldi ai partiti. L’articolo 5 comma 3, infatti, istituisce una deroga all’obbligo di pubblicità presso la Camera per le donazioni fino all’incredibile cifra di centomila euro: per sapere chi ha dato soldi al Pd di Renzi nelle due cene di autofinanziamento di inizio novembre bisogna aspettare i bilanci consolidati e solo a patto che l’interessato acconsenta. E tanti saluti a “trovo normale che si organizzino cene in modo trasparente con persone che accettano di dichiarare il proprio contributo” scandito da Renzi il 18 novembre. Non solo il Pd non comunica quante donazioni ha ricevuto – finora solo 15, di cui otto anonime, su 1.500 ospiti – ma la legge gli consente di non farlo mai: niente obbligo di comunicazione alla Camera con l’unico accorgimento che la donazione avvenga con moneta digitale (considerando che il limite all’uso del contante è mille euro, difficile questo crei problemi di privacy a qualcuno).
Le cene, però, non sono che la punta dell’iceberg. Tutto il sistema di contributi privati ai partiti rischia a questo punto di inabissarsi: i soldi che la famiglia Riva distribuì a destra e a sinistra, quelli di Caltagirone all’Udc del genero Pier Ferdinando Casini e via finanziando in pieno anonimato. Certi rapporti, pur necessari alla sussistenza, sono assai spiacevoli da mostrare in società e il legislatore ha provveduto con legge a evitare superflui rossori alla politica italiana.
Sia chiaro, non stiamo parlando di spiccioli e l’effetto sulle dichiarazioni alla Camera comincia già a vedersi: sono in calo. Saranno i bilanci 2014, tra qualche mese, a darci l’esatta misura della cosa perché solo lì sarà registrato l’aumento del fund raising dei partiti conseguenza della progressiva abolizione del finanziamento pubblico. I dati del 2013 però (gli ultimi disponibili) sono comunque indicativi: il Pd, il partito più grande, incassava infatti contributi privati per 11,6 milioni di euro, metà dei quali da eletti o tesserati. Significa che oltre 5 milioni erano contributi di privati cittadini o imprese per cui esisteva un obbligo di pubblicità sopra i 5mila euro: ora, semplicemente, ci si può nascondere fino a centomila. Il gioco “Indovina chi è venuto a cena”, insomma, rischia di durare per sempre.