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 2015  febbraio 25 Mercoledì calendario

Responsabilità civile dei magistrati, ecco come cambia la norma, punto per punto. Dalla legge Vassalli al nuovo testo

Solo 7 ricorsi vinti dai cittadini
Dopo i referendum sulla giustizia promossi e vinti dai radicali e dai socialisti nel 1987, la responsabilità civile dei magistrati è stata regolata dalla legge Vassalli (la 117 del 1988). In 27 anni di applicazione quella normativa ha prodotto, su oltre 400 ricorsi per risarcimento ammessi, soltanto sette provvedimenti che hanno riconosciuto ad altrettanti cittadini il risarcimento per dolo o colpa grave da parte dei magistrati. Il «filtro» previsto dalla Vassalli per i ricorsi ha dunque limitato al massimo i casi di risarcimento. Ma giusto quattro anni fa i meccanismi previsti per la responsabilità civile dei magistrati sono entrati in rotta di collisione con il diritto comunitario. Il 24 novembre del 2011, la Corte di giustizia dell’Unione Europea ha condannato l’Italia per violazione degli obblighi di adeguamento dell’ordinamento interno al principio generale di responsabilità degli Stati membri della Ue in caso di violazione del diritto dell’Unione da parte di uno dei propri organi giurisdizionali di ultimo grado. Questa decisione, insieme a quella analoga del 2006, ha innescato due procedure di contenzioso con la Commissione europea. Il governo Berlusconi tentò di inserire in Costituzione un nuovo articolo e una nuova sezione relativi alla responsabilità civile dei magistrati. Poi, dopo vari tentativi di percorrere la via della legge ordinaria, l’11 giugno del 2014 la Camera (in sede di esame della legge comunitaria 2013) approva l’emendamento Pini (Lega) che introduce la responsabilità diretta dei magistrati. La responsabilità diretta, contro la quale il governo pone la fiducia al Senato, viene cancellata a settembre del 2014. Da quel momento, tutta la materia viene affrontata a Palazzo Madama seguendo il solco aperto dal testo del socialista Enrico Buemi sul quale si innesta la proposta del governo di responsabilità civile sempre indiretta ma fortemente rinforzata.

La colpa grave e l’addio al filtro

La nuova legge mantiene il principio della responsabilità civile indiretta: il cittadino cita lo Stato che si rivale sul magistrato. Tuttavia, la legge Buemi rispetto alla Vassalli introduce tre novità: 1) la limitazione della clausola di salvaguardia che nei 26 anni di applicazione ha escluso dal perimetro della responsabilità civile l’attività di interpretazione delle norme di diritto e quella di valutazione del fatto o delle prove; 2) la ridefinizione della colpa grave; 3) l’eliminazione del filtro per l’ammissibilità delle domande di risarcimento. E se il viceministro della Giustizia Enrico Costa ritiene che «l’eliminazione del filtro sia il fiore all’occhiello», i magistrati temono che i tribunali verranno paralizzati da una valanga di richieste di risarcimento. Fino a oggi il tribunale distrettuale produceva una delibazione preliminare di ammissibilità della domanda di risarcimento verso lo Stato.

Si allarga il campo dei danni risarcibili

Oltre alla ridefinizione della colpa grave, che ora include anche il travisamento del fatto o delle prove, la legge Buemi amplia il campo in cui il cittadino può indirizzare la sua istanza per la richiesta di risarcimento. Viene estesa la risarcibilità del danno non patrimoniale anche al di fuori dei casi delle ipotesi di privazione della libertà personale. Fino a oggi, invece, poteva agire contro lo Stato soltanto chi aveva subito danni ingiusti che derivino dalla privazione della libertà personale per effetto di un provvedimento del magistrato nell’esercizio delle sue funzioni per dolo o colpa grave. Rimane inalterata la definizione del diniego di giustizia: «Il rifiuto, l’omissione, o il ritardo del magistrato nel compimento di atti del suo ufficio... quando sono decorsi inutilmente, senza giustificato motivo, 30 giorni dalla data di deposito dell’istanza di parte per la richiesta del provvedimento».

Fino a 36 mesi per fare richiesta

Ricapitolando: è considerata colpa grave
1) la violazione manifesta della legge nonché del diritto dell’Unione Europea;
2) il travisamento del fatto o delle prove;
3) l’affermazione di un fatto la cui esistenza è incontrastabilmente esclusa dagli atti del procedimento; 4) l’emissione di un provvedimento cautelare personale
o reale fuori dai casi previsti dalla legge
oppure senza motivazione. Ma oltre a un perimetro più ampio, all’interno del quale sarà possibile individuare i comportamenti e gli atti eventualmente scorretti dei magistrati, il cittadino avrà davanti a sé tempi meno stringenti per decidere di chiedere
un risarcimento: la nuova legge aumenta
da due a tre anni i termini previsti per la presentazione della domanda di risarcimento contro lo Stato da esercitare nei confronti del presidente del Consiglio. In caso di condanna dello Stato, spetta dunque al presidente del Consiglio la titolarità dell’azione di rivalsa
verso il magistrato, che ora dovrà essere esercitata entro due anni dal momento in cui è stato liquidato il risarcimento e, soprattutto, che sarà espressamente obbligatoria. Cambiano, infine, anche i limiti quantitativi della rivalsa. Ora il risarcimento non può eccedere una somma pari alla metà di una annualità di stipendio del magistrato (la legge Vassalli prevede un terzo). L’esecuzione della rivalsa non può comportare complessivamente il pagamento per rate mensili in misura superiore al terzo dello stipendio netto (fino a oggi il limite è stato un quinto). Tra le critiche mosse dal Csm al testo della nuova responsabilità civile (imperniate sulla soppressione del filtro di ammissibilità) c’è anche il giudizio negativo sull’estensione dei termini (tre anni invece di due) entro i quali il cittadino può proporre la richiesta di risarcimento.