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 2015  febbraio 25 Mercoledì calendario

Il comandante William Morgan, l’americano fucilato per «cospirazione» nel ’61, dopo aver combattuto con Fidel Castro. È dal 1980, da quando è riuscita a lasciare Cuba, che la vedova Rodriguez reclama la salma di suo marito. Ora ha chiesto aiuto anche al Papa

Olga ricorda bene quando nel campo ribelle arrivò quell’americano su un cavallo bianco, come in un film. Lei aveva poco più di vent’anni, lui era l’unico straniero, oltre all’argentino «Che» Guevara, ad aver raggiunto il grado di Comandante dei barbudos di Fidel Castro. Era la primavera del 1958, fra la maestra cubana di Santa Clara e lo yanqui fu amore guerrigliero. E di lì a qualche mese, la rivoluzione trionfò.
Cinquantasei anni dopo, c’è grande attesa per il secondo round negoziale fra Cuba e Stati Uniti, che si apre venerdì a Washington. Due donne, Josefina Vidal e Roberta Jacobson, diplomatiche a capo delle rispettive delegazioni, tenteranno di smussare le «profonde differenze» e trovare l’accordo per la riapertura delle ambasciate, primo passo del disgelo avviato in dicembre. Ma se la fine dell’embargo resta lontana, in una città dell’Ohio un’esule di 78 anni torna a sperare.
Olga Rodriguez da decenni supplica il regime cubano di renderle i resti di suo marito, il Comandante William Morgan, che dopo aver combattuto con Castro fu fucilato nel 1961 per «cospirazione». Richiesta respinta centinaia di volte. Ma il clima è cambiato e Olga ha trovato due alleati formidabili.
Nelle scorse settimane ha chiesto – e a quanto pare ottenuto – l’intercessione di Francesco, il Papa diplomatico che ha di fatto avviato il «dialogo» fra Obama e Raul Castro. «Il mio avvocato ha portato in Vaticano una lettera, e il Papa si è attivato», ha spiegato Olga al Miami Herald. «Non sono mai stato così ottimista», le ha fatto eco il legale, Gerardo Rollison, che nella lettera ha sottolineato come il rimpatrio delle spoglie «sarebbe un passo in più nella soluzione dei temi umanitari», dopo il rilascio di alcuni prigionieri da entrambe le parti.
Il secondo alleato è una star di Hollywood del calibro di George Clooney che due anni fa, dopo aver letto la storia di William Morgan sul New Yorker, si è fatto avanti con la vedova per acquistarne i diritti. Produrrà un film e probabilmente vestirà i panni di quell’avventuriero dalla vita tragica e straordinaria, seduttore impenitente, disertore della Us Army e uomo di fiducia di gangster mafiosi, che un bel giorno, nel 1957, si unì ai barbudos nella lotta contro il dittatore Batista. Fino a diventare uno dei combattenti più audaci – e intervistati – della guerriglia cubana.
La sua esperienza militare si rivelò fondamentale per i castristi. «Erano medici, avvocati, contadini, studenti» che sapevano poco o nulla di armi, disse lo stesso Morgan, che li condusse alla vittoria in molte battaglie sulle montagne dell’Escambray. Alla caduta della dittatura, scelse però di non entrare nel governo – «sono un militare, non un politico» – e si mise ad allevare rane. Non durò a lungo. Contattato dalla Cia di Hoover, fece il doppio gioco e aiutò a sventare un tentativo di golpe contro Fidel. Ma la sua «fedeltà» a un regime sempre più autoritario, andò via via affievolendosi.
Morgan iniziò a flirtare con i servizi segreti stranieri. Nell’ottobre 1960 fu arrestato, cinque mesi dopo giustiziato. Un compagno di cella raccontò che si presentò a testa alta davanti al plotone di esecuzione e quando gli chiesero di inginocchiarsi rifiutò. Allora gli spararono prima alla gamba destra, poi alla sinistra. Cadde, lo finirono.
Olga, che solo nel 1980 riuscì a lasciare l’isola per gli Usa, non ha mai smesso da allora di chiedere le spoglie del marito. Come d’altronde molte famiglie dei caduti nel fallito assalto alla Baia dei Porci, nel 1961. Gli esuli di Miami hanno già fatto una colletta per coprire i costi del rimpatrio: 2.300 dollari.