il Fatto Quotidiano, 25 febbraio 2015
Alla Consulta mancano due giudici. Le Camere non sanno eleggerli, nonostante decine di sedute (a vuoto) e i settimanali moniti di Napolitano. Ora l’ex collega Mattarella cosa dirà o farà?
Il presidente che ha traslocato di qualche metro li guarderà con gli occhi dell’ex collega. E non potrà che notare il numero delle toghe: 13, invece delle 15 previste dalla Carta. Un problema anche per la politica, che da mesi guerreggia sull’Italicum. Grana che prima o poi finirà sul tavolo della Consulta, dove il 12 marzo si terrà la consueta Conferenza annuale del presidente della Corte costituzionale, alla presenza del capo dello Stato Sergio Mattarella. Fino al 31 gennaio scorso, giudice della Consulta: tra qualche giorno primo spettatore della relazione del presidente Alessandro Criscuolo sulle sentenze e sul lavoro della Corte nel 2014. Mattarella era stato nominato nel 2011 dal Parlamento, che ora dovrebbe votare il suo sostituto e l’altro togato mancante.
Ma il condizionale è un imperativo. Perché la Consulta è sotto organico ormai dal 28 giugno, giorno in cui cessarono dalla carica Luigi Mazzella e Gaetano Silvestri. Lavora da otto mesi da organo “mutilato”, anche se ugualmente legittimo (“la Corte funziona con l’intervento di almeno 11 giudici” recita la legge). Dopo decine di sedute a vuoto e trappole incrociate, e nonostante i settimanali moniti di Napolitano, le Camere sono riuscite a eleggere solo un giudice per la Consulta, Silvana Sciarra. Accadde lo scorso 6 novembre alla 21° votazione di fila grazie all’intesa tra Pd, Cinque Stelle e Sel. Cadde rumorosamente invece la candidata di Forza Italia, Stefania Bariatti, pagando la faida tra berlusconiani e numeri comunque troppo stretti. L’ennesima vittima eccellente dopo Luciano Violante e Donato Bruno, anche lui forzista. Un film che verrà facilmente replicato quando il Parlamento tornerà a riunirsi in seduta comune. Sui tempi non c’è ancora certezza, ma la convocazione dovrebbe arrivare a giorni. Lo scorso 20 febbraio, il gruppo alla Camera dei Cinque Stelle aveva inviato una lettera alla presidente della Camera chiedendole di “procedere senza indugio alla convocazione del Parlamento in seduta comune per l’elezione dei due giudici”. E nel frattempo qualcosa si è mosso. Ieri la Boldrini e il presidente del Senato, Pietro Grasso, si sono sentiti proprio sulla Consulta. Domani, spiegano dallo staff della presidente, alla Camera si terrà una conferenza dei capigruppo che “verosimilmente” indicherà una data per la prima seduta sulla Corte. Del tema si occuperà anche la prossima capigruppo a palazzo Madama. Sul piatto c’è anche la matassa del metodo di votazione. Norma alla mano, per eleggere uno dei due giudici, quello non nominato in 21 sedute, potrebbe bastare un quorum dei 3/5 dell’assemblea. Mentre per l’altro togato (il sostituto di Mattarella) si dovrebbe partire dalla soglia ben più alta dei 2/3 dei membri, obbligatoria nei primi tre scrutini. I presidenti delle due Camere, d’intesa con i partiti, dovranno trovare una soluzione per evitare il caos. Ma il principale problema rimane la palude politica. Strappato il patto del Nazareno, trovare nomi che raggiungano il quorum pare ad oggi quasi impossibile. A meno che Renzi e Berlusconi non tornino a filare d’amore e d’accordo. O che il Pd non riaccetti il “metodo Sciarra”, riaprendo al M5S. Caduto Violante, ai Cinque Stelle venne proposta la professoressa: e dopo il sì dei parlamentari e degli iscritti sul web, il Movimento scongelò i suoi voti. Una novità politica, si disse allora. La capogruppo Fabiana Dadone ha firmato la lettera alla Boldrini. Sostiene: “Per noi rimane fondamentale quel metodo, quello della massima trasparenza, con cui siamo riusciti anche a fermare la nomina di Violante. Una volta convocata la seduta comune saremo disposti a discutere dei nomi, coinvolgendo i cittadini nella scelta”. Importante, anche in prospettiva.
L’ultima versione dell’Italicum prevede un possibile vaglio della sua costituzionalità prima dell’entrata in vigore (possono chiederlo un quarto dei deputati o un terzo dei senatori). La legge elettorale potrebbe insomma finire all’esame della stessa Corte che bocciò il Porcellum (con il voto anche di Mattarella). Tra pochi mesi, se il premier correrà come spera. E due giudici in più o in meno potrebbero pesare. Ma di casi roventi ne potrebbero spuntare altri. Più di un giudice, ad esempio, potrebbe sollevare questione di legittimità costituzionale sul jobs act, come ricordano da settimane la minoranza Pd e la Cgil. E via proseguendo, di riforma in riforma. Paolo Maddalena, presidente emerito della Consulta: “Il vero problema è che, mantenendo la Corte sotto organico, si altera quell’equilibrio voluto dai Costituenti per la sua composizione. Se mancano due giudici, manca quella proporzione essenziale tra i membri nominati dal Quirinale, dal Parlamento e dalle supreme magistrature”.