la Repubblica, 25 febbraio 2015
Lo scontro tra i big padani per la candidatura nel Veneto è una tappa nella costruzione della nuova Lega «modello Salvini»: «Una vittoria senza accordi con il resto del centrodestra, anzi umiliando Berlusconi, proietterebbe in alto il segretario. Gli offrirebbe lo strumento e anche il coraggio per costruire una campagna nazionale nello stile di Marine Le Pen, il suo idolo. Che infatti corre da sola in Francia»
Ancora pochi anni fa Flavio Tosi, il sindaco di Verona, s’identificava come il personaggio più in vista della seconda generazione leghista. Era (ed è) un bravo amministratore, ma soprattutto era l’uomo che non si vergognava di sventolare il tricolore quando Bossi invitava alla secessione e parlava della bandiera nazionale come di un «cencio». A un certo punto Tosi apparve come l’antagonista del vecchio leader, la dimostrazione che si poteva militare nella Lega senza smarrire il buonsenso e senza aizzare l’estremismo anti- italiano.
Oggi il sindaco è finito in un cono d’ombra. La sua stagione migliore sembra conclusa, anche se in politica mai dire mai. È accaduto che Salvini lo ha via via oscurato, sovrapponendogli un’immagine più forte sul piano nazionale. Non solo. Il vecchio secessionismo del Carroccio è finito nel ripostiglio, a favore di una scelta «lepenista» certo discutibile, ma in cui si avverte una pulsione nazionalista (benché l’anima nordista del partito impedisca tuttora una penetrazione di qualche rilievo nel Mezzogiorno). La posizione di Tosi, da eccentrica che era, ha perso la sua peculiarità e l’uomo si è ritrovato a essere la vittima predestinata della lotta di potere con il presidente del Veneto, Zaia.
L’esito del conflitto interno al Carroccio è infatti scontato. L’appoggio di Salvini al «governatore» è esplicito, senza ambiguità. Adesso anche Roberto Maroni, esponente storico della vecchia Lega, si è schierato senza mezze misure dalla parte di Zaia. Persino il vecchio Bossi, per quel che ormai vale, si è adeguato. Quindi per il sindaco l’alternativa è ovvia. Prima ipotesi, può farsi espellere dalla Lega e mettere in piedi una lista concorrente per le regionali di primavera. Una lista «moderata», mirata a raccogliere il voto dei delusi dalla gestione Zaia: nei fatti sarebbe una lista centrista e non a caso qualcuno vede Tosi approdare alla fine proprio nel campo di Alfano. Seconda ipotesi, lo sfidante accetta la sconfitta e resta nella Lega; ma in tal caso, retrocesso a semplice soldato nell’esercito del Carroccio, dovrà dire addio all’ambizione di recitare su un palcoscenico più ampio della città scaligera.
Dietro le quinte si avverte qualcosa di più di una contesa personale. Lo scontro per la candidatura nel Veneto è una tappa nella costruzione della nuova Lega secondo il «modello Salvini». Anzi, l’aver messo Tosi con le spalle al muro è una dimostrazione di potenza, un segnale ad altri potenziali «bastian contrari». Si dirà che il segretario rischia parecchio. Una campagna elettorale solitaria, senza alleati (a meno che Forza Italia non decida di accodarsi), magari dovendo sopportare una lista di disturbo, costituisce un azzardo. Ma è evidente che il gioco vale la candela. Una vittoria in Veneto senza accordi con il resto del centrodestra, anzi umiliando Berlusconi, proietterebbe in alto Salvini. Gli offrirebbe lo strumento e anche il coraggio per costruire una campagna nazionale nello stile di Marine Le Pen, il suo idolo. Che infatti corre da sola in Francia.
Il problema è che la Francia non è l’Italia. La tradizione di destra oltralpe è diversa da quella italiana; e nonostante questo i Le Pen, padre e figlia, hanno impiegato lunghi anni prima di cogliere i successi odierni, figli della crisi economica e del disincanto verso l’Europa. Non sappiamo se il tempo lavora oggi a vantaggio di Salvini ovvero se il momento magico è già passato anche per lui. Certo, il sapore di un minimo di ripresa economica, o anche solo un pizzico di ritrovato ottimismo, non favorisce il messaggio massimalista e radicale del leader. E il voto «moderato», quello a cui fa appello Tosi, magari solo per disperazione, esiste. Non sembra che Salvini si preoccupi troppo di intercettarlo. Ma prima o poi dovrà porsi il problema, se davvero vuole plasmare un’offerta di governo e non limitarsi a edificare un partito del 15-16 per cento condannato a una perenne opposizione.