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 2015  febbraio 25 Mercoledì calendario

Liga contro Lega. Il duello tra Tosi e Salvini sull’autonomia del partito che divide il Veneto. E dietro le quinte dello scontro c’è l’ombra di un blitz per ritoccare la legge elettorale della Regione Veneto. Obiettivo: introdurre il secondo turno

Chiamare le cose con il loro nome, da Amleto all’almanacco del calcio. «Non c’è mondo, fuori di questa città» è la frase tratta dal dramma shakespeariano, oggi anche leghista, scolpita al portone del Bra. Verona, la «Fatal Verona». Nella memoria dei milanesi milanisti alla Salvini la città scaligera è beffa indelebile, luogo foriero di disfatte. Era ancora in fasce Matteo nel 1973, e alla seconda caporetto rossonera allo stadio Bentegodi, anno 1990, lo studente liceale appassionato di quiz s’iscriveva alla Lega Lombarda. Qui la Lega si chiama Liga. Per gli osservatori meno raffinati la guerra sta già scritta in quel cambio identitario di vocali e così, mentre Salvini e Tosi e Zaia se le suonano in un fuoco incrociato di agenzie, battute al curaro, epurazioni annunciate, minacce, insulti tipo quel «miserabili» sganciato ieri in radio dal supersindaco uscito dal silenzio e l’”abominevole” firmato Zaia, la resa dei conti si compie.
Scontro a rischio implosione, «proprio sul più bello», si duole uno degli ambasciatori chiamati a ricomporre l’asse Milano-Verona-Venezia. I panni sporchi qui si lavano in piazza e non a Roma dove pure nelle ultime ore Tosi è sceso e, tra un passaggio mediatico e l’altro, nell’agenda del «rituale viaggio settimanale» ci ha infilato qualche incontro «interessante». Vedi la parola: sponde. «Flavio sta giocando una partita coraggiosissima, deve andare fino in fondo. Perché i veneti e le ragioni dei veneti vanno rispettati» – ringhia Fabio Venturi, vicepresidente della Provincia, uno degli uomini più fidati di Tosi e anche tra i più discussi dopo la condanna (1 anno e 3 mesi, rivelazione di segreti d’ufficio) per una soffiata al titolare di un bar. Il «delfino» ha 34 anni, per lui, vale per ogni tosiano doc, prima della Lega Nord viene la Liga Veneta e cioè lui, «Flavio». «L’hanno già fregato due volte. Nel 2010 si è fatto da parte per far spazio a Zaia. Alle Europee 2014 ha rinunciato alla poltrona mettendo nel fienile della Lega100mila preferenze. E ricordo che tra Tosi, Maroni, Salvini e Zaia c’era un patto. Doveva essere lui il candidato leader del centrodestra: che è successo?». La miccia era pronta a esplodere sotto il tappeto verde. Ingenuo chi pensava che il sindaco di Verona, friggendo di fronte al crescendo salviniano culminato con l’autocandidatura a premier, si fosse messo il cuore in pace. Macché. Lo spauracchio agitato ad arte: candidarsi alle regionali contro Zaia. Liga contro Lega. Un harakiri dalle conseguenze devastanti. «È un’ipotesi abominevole, che va al di là di ogni pessima aspettativa». Zaia. «Il segretario della Liga Veneta sa che non può candidarsi contro il suo candidato, dopodiché ognuno farà quello che vorrà». Nel volar di stracci sentite cosa dice il sindaco di Verona. «Il problema nella Lega non è il candidato Governatore per il Veneto. Lo scontro è sull’autonomia della Liga Veneta nel prendere decisioni sulle elezioni». Tradotto: carta bianca locale sulle alleanze. Ritradotto: accordo con Ncd e «scorno» alla deriva lepenista di Salvini. «Io sono coerente e la Lega è un partito con uno statuto che prevede che alleanze e liste le facciano le realtà regionali, quindi la Liga Veneta», tiene il punto Tosi. Poi, mentre Salvini lo avverte («fuori dalla Lega chi contesta Zaia»), ecco l’ultimatum. «Se qualcuno cambia le regole, ci saranno problemi».
A che cosa allude il borgomastro veronese scomunicato dai colonnelli di via Bellerio? Quali sponde ha incassato per tenere così alta l’asticella del duello? Ecco il ragionamento. «Violare le autonomie statutarie significa creare le condizioni per ulteriori fratture nel centrodestra». Anche a livello nazionale? Domanda da un euro, perché ormai caso nazionale il Veneto lo è diventato, puro stile tafazzi. Gian Paolo Gobbo, padre ortodosso della Liga, è lapidario. «Che ognuno vada per la propria strada». Nel magma veneto vengono a galla spiriti di rivalsa, personalismi, lotte di potere. Mentre i big fanno a sportellate, gli strateghi di palazzo si muovono a colpi di leggi. Orecchie aperte. Dietro le quinte dello scontro Tosi Zaia c’è l’ombra di un blitz per ritoccare la legge elettorale della Regione Veneto. Obiettivo: introdurre il secondo turno. Come avviene per il sindaco, anche per il governatore verrebbe prevista una soglia minima (non il 50% ma il 42,5%) per essere eletto al primo turno, altrimenti andrebbero al ballottaggio i due più votati. La proposta, presentata da Diego Bottacin e Francesco Piccolo del Gruppo misto, sarebbe già finita nel cestino. Ma adesso torna in pista. Inceneriti da Salvini, sapendo che potrebbero non fare più parte della maggioranza che alle prossime elezioni sosterrà Luca Zaia, i consiglieri di Ncd potrebbero votarla. Facendo un bello sgarbo proprio a Zaia, per il quale il doppio turno è gradevole come la sabbia bagnata nel costume: vero che con l’attuale legge basta un voto in più per vincere, ma se l’alleanza perdesse pezzi raggiungere il 42,5% potrebbe non essere una passeggiata. A cinque giorni dal consiglio federale sul, forse, commissariamento dell’eretico Tosi («Salvini si assuma la responsabilità» è la sfida), tutto può accadere.
Lorenzo Fontana, eurodeputato veronese, salviniano. «Tosi si dimetta subito». Come un panzer anche Massimo Bitonci, sindaco di Padova: «L’unica frattura è quella fra un singolo esponente e il resto del movimento». Chi voleva derubricare la disfida a contrasti di facciata, ora è preoccupato. Così Giancarlo Gentilini spedisce un garbato invito al sindaco di Verona: «Fuori dai piedi se non rientra nei ranghi. O rischiamo di perdere la Regione». Si perché se Tosi va fino in fondo e «si candida contro Zaia» – come si augura l’imprenditore Federico Cozza, stamperia Leaderform, sponsor dell’Hellas Verona, 20 milioni di fatturato, 135 dipendenti – l’effetto può essere sismico. «Le porte per Alessandra Moretti si spalancherebbero», prevede Massimo Cacciari. Cose dell’altro Veneto.