Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  febbraio 24 Martedì calendario

Il paradosso Landini e quel vuoto difficile da colmare alla sinistra di Renzi che né il segretario della Fiom né altri sembrano oggi in grado di occuparlo. Per questo il presidente del Consiglio non sembra aver molto da temere e si permette il lusso di fare battute un po’ da Maramaldo

ESISTE un paradosso alla sinistra di Renzi e le polemiche sull’eventuale impegno politico di Landini l’hanno fatto emergere. Da un lato, lo spazio è ampio, significativo sulla carta anche sotto l’aspetto elettorale; dall’altro, né il segretario della Fiom né altri sembrano oggi in grado di occuparlo e di organizzarlo. Per cui il presidente del Consiglio non sembra aver molto da temere, almeno nel medio termine, e si permette il lusso di fare battute un po’ da Maramaldo.Si capisce perché. Landini può anche vagheggiare di costruire – lui stesso o altri a lui vicini – la versione italiana del movimento spagnolo Podemos, come ha scritto Angela Mauro di “Huffington Post”. Ma la realtà è sempre più complicata dei sogni. In Grecia Syriza si è subito scontrata contro il muro dell’Europa tedesca, in Spagna i nuovi movimentisti rappresentano, certo, una forza vera che però deve ancora misurarsi con i fatti e prima deve vincere le elezioni. In Italia il variegato fronte sociale a sinistra del Pd appare privo di ossatura e di strategia. Si ritrova su alcune parole d’ordine, come la contro-manifestazione anti Lega che si sta preparando per sabato 28 a Roma. Ma l’idea di presentare Salvini come un piccolo Tambroni del Duemila a cui intimare lo sfratto dalla città eterna, con il connesso rischio di disordini e violenze, non è un progetto politico. È più che altro un pretesto per scendere in piazza a manifestare un malessere, rischiando però di fare il gioco dell’avversario leghista.S’intende che a sinistra di Renzi c’è anche dell’altro. Ma le sigle partitiche hanno dimostrato da tempo di non possedere forza propulsiva. Vendola non rappresenta una minaccia per il premier e non è più nemmeno un aggregatore: anzi, di recente ha subìto l’abbandono del gruppo filogovernativo di Migliore. Quel che resta di Rifondazione è poca cosa e da parte sua la minoranza del Pd di tutto sembra preoccuparsi, tranne che di preparare la scissione. Nessuno peraltro riesce a immaginare Bersani che si mescola alle organizzazioni sociali per inseguire la replica italiana di Podemos. E di sicuro lo stesso Landini se ne rende conto. Tanto è vero che non ha ottenuto incoraggiamenti né dall’interno del Pd (salvo forse Civati) né dal mondo sindacale, a cominciare dalla Cgil. Gli uni e gli altri vedono con identica diffidenza un’ipotesi dai contorni indefiniti che rischia di indebolire insieme la struttura del sindacato tradizionale e quella del partito.Eppure, ecco il paradosso, lo spazio non mancherebbe. Solo che trasferirlo sul piano politico e soprattutto elettorale richiede una leadership e anche una cornice propizia. Non basta essere contro le politiche di Renzi e nemmeno portare nelle strade qualche migliaio di manifestanti. Ci vuole perizia e senso tattico. Il presidente del Consiglio ha fatto della comunicazione la sua arma migliore, ma non si è fermato a questo. La legge elettorale (l’Italicum), su cui la Camera è chiamata a pronunciarsi, rappresenta un’arma decisiva per chiudere gli spazi a sinistra lasciando un «diritto di tribuna» o poco più ai gruppi che resteranno al di fuori della lista Renzi.Questo significa che le prospettive non sempre meditate di chi guarda alla Spagna o alla Grecia devono fare i conti con una riforma elettorale di tipo maggioritario tendente per sua natura a mettere ai margini le forze minori e intermedie. Un movimento stile Podemos avrebbe bisogno di una legge proporzionale, come in Spagna. Ma l’Italia sta andando in una direzione opposta, a meno che non intervenga qualche incidente di percorso in Parlamento. In mancanza del quale chiunque vorrà dare forma a una nuova sinistra sospesa fra società e palazzo dovrà adattarsi a un lungo cammino. Per cui nessuno si meraviglierebbe se alla fine Landini scegliesse di giocare le sue carte all’interno della Cgil invece che in una sfida politico-elettorale al premier.