Corriereconomia, 23 febbraio 2015
Jonathan Ive, l’uomo che ha disegnato l’iPhone e che ora punta tutto sull’iWatch. Il 47enne inglese con cittadinanza americana, direttore del design Apple, nominato Sir della regina Elisabetta, si racconta al New Yorker. Dall’amicizia con Steve Jobs fino a quella con JJ Abrams, per il quale ha creato la nuova spada laser di Guerre Stellari
Nel 2007, uscì il primo iPhone – la dimostrazione cartesiana del suo successo mostruoso è che sembra che ci sia sempre stato, ma ha meno di otto anni – e un inglese dai modi riservati che lavorava in America già da molti anni comprò una bellissima casa di campagna in Inghilterra, con l’idea di andarci a vivere «in una sorta di magnifico prepensionamento». Otto anni e sei iPhone dopo, la casa è stata venduta, quell’inglese – che si chiama Jonathan Ive e fa il direttore del design Apple – vive ancora a San Francisco, fa ancora il pendolare andando a Cupertino tutte le mattine e tornando ogni sera (sulla Bentley con autista), è diventato cittadino americano ma anche «Sir» con una bella e tradizionale cerimonia (in tight, a lui che piacciono felpe e pantaloni sformati) a Buckingham Palace.
Niente prepensionamento per due motivi, uno molto allegro e uno molto triste. Quello allegro è il successo globale, imprevisto e imprevedibile, dell’iPhone, e una parte significativa di quel successo si deve al design di Ive. Il motivo triste è la morte del suo amico Steve Jobs, per quindici anni il suo capo ma in pratica il suo complice e amico fraterno. Steve e Jony seduti uno di fianco all’altro in un brainstorming impossibile da non rimpiangere per Ive, scambiandosi quelle ipotesi di lavoro a volte molto vaghe che Jobs definiva «idee da tonto» e dalle quali poi uscivano l’iPod, l’iPad, l’iPhone.
Lo stile
Jonathan Ive tende a non parlare con la stampa, timido ma scaltro preferisce girare video promozionali dribblando il contraddittorio, ma per una volta ha parlato, e molto a lungo, con una rivista: il nuovo numero del New Yorker gli dedica un lunghissimo servizio. Pieno di aneddoti molto godibili: il primo incontro nella diffidenza reciproca tra Ive (che aveva in tasca la lettera di dimissioni già pronta da consegnare al nuovo capo) e Jobs, la possibilità concreta che il design dell’azienda finisse sotto la responsabilità di Richard Sapper, papà tra le altre cose della lampada Tizio, della radio Brionvega e di tanti prodotti Alessi, molto ammirato da Jobs; il piccolo ufficio di Ive, minuscolo (e con una stampa dello street artist Banksy alla parete) ma vicinissimo a quello adesso vuoto del fondatore Steve Jobs.
Ma è anche un articolo pieno di notizie, al di là delle curiosità biografiche: Ive aveva già pensato a un iPhone formato «extralarge» ai tempi del 4, ma rinunciò perché allora lo spessore era ancora troppo grande. Dopo l’uscita del primo iPhone «una grandissima azienda coreana» chiese a un fornitore di realizzare un touch screen simile a quello Apple «in sei settimane», un esilarante segno di panico aziendale visto che gli americani ci avevano impiegato anni e la richiesta era impossibile da esaudire. Ive ammette che quando uscì il primo iPhone «eravamo molto nervosi, preoccupati perché la gente avrebbe dovuto passare da tasti che si muovevano a una tastiera su un vetro immobile», e che soltanto dopo la morte di Jobs ha avuto la libertà di cambiare la grafica delle icone del sistema operativo del iPhone.
Le critiche
Ive spiega, con la sintesi propria del suo stile, che secondo lui i Google Glass sono un prodotto «sbagliato» (lo stile è radicalmente diverso da quello caustico di Jobs, che usava di frequente parolacce e una volta convinse un ingegnere a venire alla Apple «perché finora hai lavorato solo a prodotti di merda»). Ive ammette che l’obiettivo della macchina fotografica dell’Apple 6, così sporgente, non piace granché neanche a lui che l’ha disegnato, rivendica la bontà dell’idea dell’orologio Apple di prossima uscita – è una sua creatura quasi al 100%, ma ne aveva già discusso quando Jobs era ancora in vita – come quella giusta per far progredire l’uso della «tecnologia da indossare», che per Apple porteremo al polso mentre per Google davanti agli occhi.
Proprio l’evoluzione di Apple come azienda tecnologica, ma che guarda al mercato del lusso, è centrale nel futuro dell’azienda: nel 2013 sono arrivati Angela Ahrendts da Burberry, Paul Deneve da Yves Saint Laurent, nel 2014 Patrick Pruniaux da Tag Heuer, e la collaborazione (part-time) dello stilista Marc Newson, amico di Ive. Che è timido ma ha amici famosi: lo stilista Paul Smith, il cantante dei Coldplay Chris Martin, il regista JJ Abrams per il quale ha disegnato la nuova spada laser della saga di Guerre Stellari. Un dato, quest’ultimo, che non sorprende visto che Sir Jonathan Ive, 47enne, ricco e famoso e con doppia cittadinanza, proprietario dell’aereo privato che fu di Steve Jobs, appartiene alla generazione di quelli che hanno visto il primo Star Wars nel 1977, da bambini. E non si sono più ripresi.