La Stampa, 23 febbraio 2015
Da marzo si potrà avere il Tfr in bustapaga. Ma i lavoratori del settore privato che sceglieranno l’anticipo della liquidazione, dovranno fare bene i calcoli prima di fare domanda al datore di lavoro. Anche perché, una volta fatto non si potrà tornare indietro per almeno tre anni
Sarà una corsa contro il tempo ma dal governo assicurano che dal primo marzo si parte. I lavoratori del settore privato potranno chiedere nella busta paga il Tfr in corso di maturazione. Il decreto che stabilisce le modalità della richiesta del cosiddetto Tir (trattamento integrativo della retribuzione) ha ricevuto alcuni giorni fa l’ok del Consiglio di Stato. Un via libera che conferma l’impianto delle norma, anche se i giudici hanno evidenziato alcuni elementi che potrebbero incidere sulla platea dei beneficiari e sui conti del sistema previdenziale. A giorni il testo sarà pubblicato in Gazzetta Ufficiale. Ma i lavoratori intenzionati a scegliere questa possibilità, dovranno fare bene i calcoli prima di fare domanda al datore di lavoro. E questo non solo perché, una volta effettuata la scelta, non si potrà più tornare indietro per tre anni. Sul tavolo ci sono diverse cose da tenere a mente. A cominciare dalla tassazione che sarà applicata sul Tfr fino agli effetti sul reddito Isee che rischiano di penalizzare le agevolazioni familiari, dalle rette degli asili nido alle mense scolastiche. Senza tralasciare gli effetti sui fondi pensione. Chi è interessato, quindi, dovrà risolvere un dilemma: monetizzare subito la parte del Tfr maturato nel corso dei 3 anni ma con una tassazione maggiore? Oppure continuare ad accumulare un tesoretto in vista della “vecchiaia”?
La norma
Dal 1° marzo del 2015 e fino al 30 giugno del 2018, in via sperimentale, i dipendenti del settore privato potranno richiedere al proprio datore di lavoro di ricevere in busta paga il Tfr maturando, compresa la parte eventualmente destinata ai fondi pensione. La cifra arriverà ogni mese in busta paga. Come detto, una volta fatta la richiesta, non si potrà più tornare indietro. Per cui la cifra sarà accreditata nello stipendio per l’intero periodo in cui sarà in vigore questa opzione.
La richiesta
I lavoratori interessati, dovranno compilare il modello unico “Quir” (in corso di approvazione, prima di essere destinato alle aziende) e presentarlo al proprio datore di lavoro. Sarà poi l’impresa a farsi carico dell’intera procedura. I tempi entro cui la cifra sarà accreditata in busta paga, però, varieranno a seconda del tipo di azienda in cui si lavora.
Per quelle con più di 50 dipendenti, il Tfr arriverà in busta il mese successivo alla richiesta fatta dal dipendente. Per le società con meno di 50 lavoratori, invece, bisognerà attendere un secondo via libera dell’Inps che arriverà solo dopo che l’impresa avrà avuto accesso al finanziamento bancario assistito previsto sempre dalla legge di Stabilità.
Chi può accedere
Possono chiedere il Tfr in busta paga solo i lavoratori dipendenti del settore privato con un contratto in corso da almeno sei mesi. Sono invece esclusi tutti i dipendenti pubblici. Esclusi, inoltre, i lavoratori di aziende in procedura concorsuale, in ristrutturazione del debito, con cassa integrazione straordinaria o Cig in deroga.
Non potranno accedere a questa possibilità nemmeno i dipendenti che hanno utilizzato il Tfr maturato a garanzia di un finanziamento bancario.
La tassazione
È stato uno dei temi più dibattuti dell’iter parlamentare. Alla fine, però, il governo ha deciso di “colpire” il Tfr in busta paga con l’aliquota ordinaria, più elevata di quella separata che di solito insiste sulle liquidazioni. I più penalizzati saranno coloro che hanno uno stipendio più alto perché su di loro graverà un’aliquota Irpef più elevata (si veda la simulazione nel grafico in alto, ndr).
Fondi pensione
Tra le cose che bisogna valutare bene prima di decidere per il Tfr in busta, c’è la partita relativa ai fondi pensione. Qualora un dipendente decidesse di optare per questa soluzione, in busta finirebbe anche quella parte della liquidazione che il lavoratore destina ai fondi pensione. Con il risultato che l’assegno integrativo rischierà di subire una penalizzazione tra il 10 e il 30%, a seconda del numero di anni di iscrizione al fondo.
La riduzione percentuale più bassa (12%) si ha nei casi in cui il lavoratore è iscritto al fondo pensione da 35 anni e con un tasso di rendimento del 2 per cento (vedi simulazione, ndr). Ma al crescere del tasso annuo e per periodi di iscrizione più bassi, il taglio dell’assegno integrativo può toccare livelli molto più elevati.
Isee e detrazioni
La busta paga resa più pesante dal Tfr rischia di avere effetti negativi anche sul reddito Isee che serve a usufruire di molte prestazioni sociali, dall’abbonamento agevolato al bus, alle tasse universitarie. Non solo, l’erogazione del cosiddetto Tir inciderà sulle detrazioni per lavoro dipendente o su quelle per i familiari. Con l’anticipo del Tfr – calcola il centro studi Uil – ci sarà una ricaduta negativa (tasse in più e sgravi in meno) che potrà arrivare, per un reddito medio di 23.000 euro a 330 euro. Oltre ai 50 euro di imposte in più dovute alla tassazione ordinaria, un lavoratore con un reddito medio rischia di perdere detrazioni per 280 euro.
Bonus 80 euro
La liquidazione in busta paga non inciderà sulla possibilità di ricevere il bonus 80 euro, perché le somme non contribuiranno a sfondare il tetto dei 26 mila euro previsto dalla normativa. Neanche l’imponibile previdenziale sarà influenzato dall’erogazione del Tfr in busta paga.