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 2015  febbraio 23 Lunedì calendario

Il miliardario psicopatico che con tre colpi di pistola mise fine alla favola dei fratelli Shultz, medaglie d’oro della lotta a Los Angeles ’84. Mark, il maggiore, venne ingaggiato da John du Pont, rampollo di una famiglia potente che alla vigilia dei Giochi di Atlanta ’96 lo uccise a sangue freddo. Dave, il minore, ha raccontato tutto nel libro Foxcatcher, ora film di successo

Erano fratelli, erano lottatori, erano campioni. Due american boys che atterravano anche i russi. Si volevano bene, ma tra di loro in allenamento si scannavano. Erano unici: i Golden Brothers. Piacevano anche a Reagan che volle la fotografia. I primi a vincere due ori olimpici nella stessa edizione, Los Angeles ‘84. Ad appena 24 ore di distanza. Era una favola, quella dei fratelli Schultz. Due venuti su dal nulla. Poveri, problematici, uno anche dislessico, ma molto competitivi. Ora sono una storia nera da Oscar. Attrazione fatale in versione wrestling. Lo sport come tragedia, come gioco del possesso, del controllo, della manipolazione. Un film che sbarca in Italia il 12 marzo. Il più piccolo, Mark, l’ha raccontato in un libro appena uscito, “Foxcatcher”, per la Sperling & Kupfer. Il più grande, Mark, non può aggiungere niente: è stato ucciso a sangue freddo con una 44 Magnum nel gennaio del ‘96, sei mesi prima dei Giochi di Atlanta, che ne dovevano celebrare il rientro. A sparare il suo benefattore, un miliardario, uno che aveva tutto, tranne il talento, l’uomo che finanziava la lotta in America. Uno strano, uno perverso, uno non del tutto normale. Ma se paghi gli atleti, se gli permetti di allenarsi e di competere chi mai ti chiederà conto delle tue ambiguità e stranezze? Foxcatcher passa per una storia americana, per un Grande Gatsby dello sport, ma senza alta società, non c’è Robert Redford, solo muscoli e sudore, e la bestiale fatica quotidiana per sopravvivere. L’american dream ha sempre il suo prezzo attaccato al cartellino, ma spesso non lo vedi, e qualche volta lo paghi con la vita. Dave Schultz ha 36 anni quando viene ammazzato senza motivo da chi lo ha ingaggiato come allenatore. È un lottatore famoso, il migliore a stelle e strisce. Ha vinto l’oro a Los Angeles e sette titoli mondiali. Vuole rientrare per Atlanta ‘96. Ma il miliardario americano (a millionaire madman) John du Pont, erede della dinastia dell’industria chimica, una delle famiglie più potenti del paese, esce dalla macchina, gli urla «hai un problema con me?» e gli spara tre volte. Al gomito, allo stomaco, alla schiena. Dave agonizza, si trascina sul vialetto, l’altro lo finisce. Mark, il fratello più piccolo, conosce già du Pont, perché è stato il primo a lavorare per lui. E se ne è anche allontanato. «Troppo pazzo, troppo tossico, strafatto di cocaina». Un essere spregevole che si vuole impossessare del talento altrui e farsi bello con una squadra di lotta, Foxcatcher appunto, dal nome della sua tenuta. Du Pont è ricco, con un ego smisurato. I fratelli Schultz sono poveri. Mark è single, Dave è sposato. Il miliardario ha tutto, gli altri niente. Dave da piccolo è ciccione, lo chiamano Tombolo, ha disturbi nell’apprendimento, è vittima di bullismo, ma si scopre genio della lotta. È ambidestro, ha tecnica, fa sempre la mossa giusta. Il fratellino, Mark, invece è l’opposto: muscoloso e animalesco. A du Pont nella vita è andato tutto bene, ai fratelli Schultz tutto male. Il miliardario è un mecenate: dona ai poliziotti i giubbotti antiproiettile, presta loro elicottero e poligono di tiro, peccato che poi spari alle anatre. Lui può: è cresciuto in una villa con più di 40 stanze, ha girato il mondo, colleziona reperti marini, ha fondato un museo di scienze naturali dove ha messo due milioni di conchiglie, raccolte da lui stesso, e 66mila volatili impagliati. Mark finisce da lui perché licenziato da Stanford, deve trovare come vivere. Ma il miliardario non gli piace, non è poi così generoso, fa pesare la sua ricchezza. E poi come racconta al telefono: «Era sporco, con la forfora, non si lavava, aveva sempre cibo tra i denti». Uno squilibrato cui nessuno fa caso, le sue sono ragazzate, anche quando si diverte a buttarsi nel laghetto con la limousine o quando con un carro armato demolisce gli alberi secolari dei vicini: «Sorry, ho sbagliato strada». I ricchi, i poveri, il fascino della violenza, la virilità dei nuovi gladiatori, la sopraffazione sportiva come sessualità sublimata. Il sottile gioco tra chi ha e non ha, tra il miliardario e il lottatore, tra classi sociali opposte, non siamo a “Il Servo” di Losey, ma poco ci manca. Dave Schultz non ce la farà a coronare il suo sogno, ma neanche John du Pont. Dave viene ucciso, John si rifugia a casa dove ha una camera blindata, ma dopo due giorni viene arrestato dalla polizia che gli ha tagliato il riscaldamento. Morirà in galera nel 2010 a 72 anni.Mark, il fratellino, dice che il film gli piace. «Non è esattamente la storia come l’ho scritta nel libro, il regista Bennett Miller si è liberamente ispirato, ma va bene così. È un thriller con Channing Tatum nel mio ruolo, Mark Ruffalo in quello di Dave e Steve Carell in quello di du Pont. Non provo pietà per quest’ultimo, non meritava di vivere. Dave era tutto per me, non solo mio fratello, ma anche il mio supereroe. Sono passati quasi venti anni e la lotta in America non ha soldi, né finanziamenti. Poco è cambiato. Siamo il paese del capitalismo, ma la Russia ha più atleti e più programmi di noi. I nostri campioni per mantenersi devono trovare un lavoro o cadere prede e schiavi di chi ti ingaggia per lustrare la propria fama. Vorrei poter tornare indietro per salvare mio fratello e dire a tutti che lo sport non va sfruttato. Se vuoi alzare le braccia, non puoi chinare la testa».