la Repubblica, 23 febbraio 2015
In Libia si muore anche per un post su Facebook
Me l’aveva già detto, ma non con tanta foga. Ieri sono andata a trovarlo per conoscere la sua bimba neonata, e lui è sbottato: «Gheddafi era un brav’uomo. Se ci fosse ancora lui, l’Egitto sarebbe mai potuto entrare in Libia?». Il mio ex vicino di casa non fa mistero delle sue idee, bolla i ribelli come criminali matti e ignoranti. Me ieri i suoi moniti sul futuro – «Vedrai quel che succederà» – hanno lasciato spazio ai racconti drammatici del presente. Un suo amico in Gran Bretagna per un master è rientrato in Libia per il funerale del padre. È stato ucciso con una pallottola in testa, forse per i post su Facebook in favore di Haftar e la campagna contro i terroristi. «I terroristi sono a Tripoli e non c’è posto sicuro per te», dice. Poi, con l’aria di chi la sa lunga: «Nessuno sa chi sia l’Is. Magari sono stati portati dall’America, dall’Egitto o dal Qatar. Non m’interessa. So solo che la Libia va verso l’autodistruzione». ( Nancy Porsia, giornalista italiana, abita a Tripoli)