Corriere della Sera, 20 febbraio 2015
Oliver Sachs ha un tumore. «Un mese fa mi sentivo in forma. A 81 anni nuoto ancora un miglio al giorno, ma la fortuna è finita: ho scoperto di avere metastasi multiple al fegato». È terminale. Lo ha detto al New York Times
Dice che per ora continua a interessargli quello che succede in Medio Oriente, il riscaldamento globale, le diseguaglianze nel mondo, ma con la consapevolezza che tutto ciò riguarda un futuro lontano che lui non vedrà. Oliver Sacks, neurologo e scrittore dalle molteplici curiosità e dal grande talento narrativo, autore di libri di successo come Risvegli (nel 1990 diventato un film con Robin William e Robert De Niro) o L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello, ha affidato al «New York Times» l’annuncio di avere un cancro in fase terminale.
Nato a Londra nel 1933, Sacks vive a New York, dove insegna neurologia alla facoltà di medicina. «Un mese fa mi sentivo in forma. A 81 anni nuoto ancora un miglio al giorno, ma la fortuna è finita: ho scoperto di avere metastasi multiple al fegato» scrive.
Tutto comincia nove anni fa, quando gli viene diagnosticato un melanoma oculare, un raro tumore rimosso con il laser e con la radioterapia, che lo lascia cieco da un occhio. Sacks trasforma anche quella vicenda personale in materia narrativa: si scruta con lucidità e freddezza e racconta sia del disturbo di cui soffre, la prosopagnosia (cioè l’incapacità di riconoscere i volti) sia del melanoma nel volume L’occhio della mente (pubblicato in Italia da Adelphi come tutti i suoi libri), una rassegna di casi clinici legati alla vista, dove la ferita fa nascere nell’individuo inaspettate strategie conservative e compensative.
«Solo in casi molto rari questo tumore provoca metastasi – scrive Sacks —. Io sono tra lo sfortunato 2 per cento. Sono grato per aver avuto altri nove anni, dalla prima diagnosi, ma ora sono faccia a faccia con l’idea di morire. Il tumore occupa un terzo del mio fegato e anche se il progredire della malattia può essere rallentato, non può essere fermato. Tocca a me decidere come vivere il tempo che mi resta. Devo farlo nel modo più ricco, profondo, produttivo possibile».
Lo scrittore cita ad esempio uno dei suoi filosofi preferiti, David Hume che, avendo scoperto, a 65 anni, di avere un male incurabile scrisse, in un solo giorno, un breve testo, «My Own Life», la mia vita. Anche Sacks lo ha fatto, anche se non in un giorno: in primavera uscirà la sua autobiografia, diversi altri titoli sono già quasi completati.
D’altronde, continua nell’editoriale, «mi sento intensamente vivo e spero, nel tempo che mi rimane, di approfondire le mie amicizie, di dire addio a coloro che amo, di scrivere e anche di viaggiare se ne ho la forza, di continuare a capire e capirmi». Non c’è più tempo per l’inessenziale, spiega. «Presto potrei non essere più in grado di guardare il telegiornale, seguire la politica o le discussioni sul riscaldamento globale». Non è indifferenza la sua, ma distacco. «Gioisco quando incontro giovani dotati, anche quello che mi ha fatto la biopsia e diagnosticato le metastasi. Sento che il futuro è in buone mani».
Non nega di avere paura Sacks, ma scrive che il suo sentimento più forte è la gratitudine. «Ho letto, viaggiato, pensato, scritto. Ho avuto un rapporto con il mondo, quel rapporto speciale che hanno gli scrittori e i lettori».