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 2015  febbraio 20 Venerdì calendario

Renzi: «Il caso Verro è una vergogna». Ma la Rai tace e lui non si dimette. Nell’agosto 2010 il consigliere di Viale Mazzini scrisse a Berlusconi per sabotare otto programmi considerati troppo duri con il centrodestra. Pd e M5s ora chiedono che abbandoni la sua poltrona

Ieri, Antonio Verro ha spento i telefoni. Anche in Viale Mazzini s’è spento il solito vociare. Il presidente Anna Maria Tarantola tace. Il direttore generale Luigi Gubitosi tace. I colleghi consiglieri di Cda tacciono; destra, centro o sinistra non fa differenza. Così Verro può imbullonare la poltrona in Viale Mazzini, dove esercita da sei anni, e sperare che la lettera inviata a Silvio Berlusconi, e rivelata dal Fatto Quotidiano, venga ignorata. Il 25 agosto 2010, tramite il desueto fax, un rapido scambio di connessione fra la sede Rai di Roma e la villa di Arcore, Verro espone all’ex Cavaliere il piano per sabotare otto programmi del servizio pubblico, un elenco che inizia con Annozero di Michele Santoro, un appuntamento con una media del 20 per cento di share su Rai2. Ai dirigenti Rai non interessa la prova, in carta bollata, di un editto bulgaro bis, rivolto a Santoro, Serena Dandini, Fabio Fazio e mezza Rai3. A Matteo Renzi interessa. Perché deve far deglutire la riforma Rai che sta per presentare e deve bonificare una zona ancora custodita da reduci berlusconiani. Con la formula “fonti di Palazzo Chigi”, Renzi commenta: “È una vergogna”.
Il governo non può rimuovere da mane a sera Verro, ma gli strumenti esistono, e sono previsti dal Testo unico sui mezzi audiovisivi e dalla legge Gasparri. Roberto Fico (M5S) fa sapere che la commissione parlamentare di Vigilanza agirà per espellere Verro. Ma c’è bisogno di un intervento del Tesoro, azionista di controllo di Viale Mazzini. Il ministro Pier Carlo Padoan è impegnato altrove. Marco Pinto, il referente di Padoan in Cda Rai, interpellato, non dice niente: “Di cosa parla?”, e poi interrompe la chiamata.
Per una volta, i Cinque Stelle e il Partito democratico sono d’accordo: Verro deve lasciare, subito. La renziana Lorenza Bonaccorsi sfrutta l’episodio per invocare un nuovo modello per la Rai. Il bersaniano Miguel Gotor, seguito da un nutrito gruppo di parlamentari, insiste con l’uscita di Verro. In solitaria, Renato Brunetta carica il Mattinale, un giornale interno a Forza Italia, per sparare contro la “macchina del fango del Fatto”. Dichiarazioni e silenzi vanno pesati: se il Tesoro (e Renzi dà un segnale affermativo) assiste la Vigilanza, Verro può essere cacciato. Non va ignorato il momento politico di Berlusconi, e c’entra il fidato Antonio. Verro sta per terminare il secondo mandato in Viale Mazzini, l’ultimo. Con l’approvazione del bilancio 2014, che va licenziato entro giugno, decade l’intero Cda e decade Verro. Ma l’ex dirigente di Edilnord, amico di gioventù di Marcello Dell’Utri, vuole resistere. Perché lasciare adesso significa ammettere le colpe, timbrare il ventennio di Silvio Berlusconi col marchio “conflitto di interessi”. Sì, Verro s’appassiona troppo ai dettagli. Le intromissioni in Viale Mazzini di Berlusconi, capo di governo e proprietario di Mediaset, riempiono un’enciclopedia. E la lettera di Verro rappresenta un sostanzioso capitolo, perché illustra gli espedienti (Verro li chiama “rimedi”) utilizzati per incentivare o promuovere l’addio di Santoro e Dandini, di Paolo Ruffini da Rai3, di Massimo Liofredi da Rai2.
Quel 25 agosto 2010, Verro allega a Berlusconi delle schede sintetiche relative a otto trasmissioni “connotate da teoremi pregiudizialmente antigovernativi”. Non tollerano il giornalismo imparziale. Questa informazione non può risiedere in Viale Mazzini. A distanza di cinque anni da quel documento, a tredici dall’epurazione ordinata da Sofia contro Enzo Biagi, Daniele Luttazzi e Santoro, Verro sta ancora lì. E Santoro, da Servizio Pubblico su La7, fa una sintesi: “Mi piacerebbe tornare in Rai, anche solo per una notte. Prima di me, però, tocca a Luttazzi”.