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 2015  febbraio 20 Venerdì calendario

Il Cumenda e l’Incantabiss. Le vite parallele ma diverse di Angelo Rizzoli e Arnoldo Mondadori, nati a due giorni di distanza nella miseria. Il primo orfano di un ciabattino suicida, l’altro figlio di un calzolaio ambulante. Entrambi artefici della cultura italiana moderna, si incontrarono una sola volta, a Cortina. Cristina Mondadori: «Il papà alzava il bastone in segno di saluto e poi ci diceva: è passato Erre»

Adesso che l’impossibile sembra concretizzarsi, i libri Rizzoli mangiati dalla Mondadori, sono in tanti a immaginarsi che cosa mai potrebbero dirsi tra le nuvole quei due là, il Cumenda e l’Incantabiss. Nati a due giorni di distanza, Angelo il 31 ottobre e Arnoldo il 2 novembre 1889, e self-made men che più non si può: Mondadori figlio di un calzolaio ambulante che era rimasto analfabeta fino ai cinquant’anni, in grado di garantire al figlio solo la quinta elementare, Rizzoli orfano di un ciabattino suicida per miseria, prima scolaro deriso dai compagni nella scuola dei sciuri di via Santo Spirito a Milano, poi felicemente riparato nell’istituto dei Martinitt dove almeno erano tutti poveri uguali. Eppure sono stati loro, che di libri ne avevano letti pochissimi, a incarnare la moderna industria culturale italiana, dopo la generazione dei padri fondatori Ricordi-Hoepli-Vallardi.
Calcio, soldi e belle donne
Che oggi tutto quel ben di Dio finisca in mano, sia pure per tramite della figlia Marina, a un (ex) Cavaliere, epitome del milanesone iperattivo e barzellettiere, e la cui sola lettura conosciuta è un fin troppo citato Elogio della pazzia di Erasmo da Rotterdam, assume un significato simbolico a cui è difficile sottrarsi. Gran storia padana, con contorno di squadre di calcio (il Milan dei Rizzoli, poi quello del Berlusca), miliardi, sicofanti, belle donne, figli ribelli, scalate sociali precipitose. E le terme di Lacco Ameno d’Ischia per Rizzoli, la villa a Meina per Mondadori, il falansterio di Arcore per Berlusconi: che tanto per restare sull’argomento libri, ai tempi del vecchio Casati Stampa, quando per cena arrivava Benedetto Croce, conteneva una delle più grandi biblioteche d’Italia, al momento non pervenuta.
In questa saga ambrosiana il vero Cumendaresta tuttavia Angelo Rizzoli, che così si faceva chiamare anche dai nipoti odiando l’appellativo di nonno. Più che ad Arnoldo (detto Incantabiss cioè incantatore di serpenti fin da quando, con quella voce fascinosa, leggeva le didascalie dei film muti al cinema di Ostiglia) è ad Angelo che rimandano gli infiniti aneddoti.
Mondanità e fiuto
Il Cumenda al tavolo da gioco, spesso vestito di chiaro, talvolta con una bellona sottobraccio, sempre con la sigaretta al mentolo in bocca. Che al momento del passaggio dalla storica sede di piazza Carlo Erba a quella di via Civitavecchia si mangiava con gli occhi «il plastico», cioè il modellino del nuovo edificio. Che la sera faceva il giro delle redazioni per spegnere le luci, perché si sa che con le cinque lire si fanno i milioni. Incapricciato della spettacolare Myriam Bru, a cui spinse la carriera nel cinema, pur rimanendo sempre sposatissimo con Anna Marzorati.
Così popolare che un attore di varietà che gli somigliava molto, Furlanetto, cominciò a imitarlo nei film, arrivando all’apogeo nel sublime Vedovo di Dino Risi. Rozzo egaffeur, ma vitale, e con un fiuto che avercene. Uno che pur non tenendo a mente i nomi degli autori non sbagliava un colpo, come nel caso rievocato da Indro Montanelli: «Mi chiese di dare un’occhiata al manoscritto di un prete di cui non ricordava il nome. Ma, aggiunse, se è una porcheria non dirmelo, tanto lo pubblico lo stesso. Quel prete aveva una bella faccia. Ho capito poco di ciò che ha detto. Ma ho capito benissimo che non è un imbroglione». Era la Vita di Gesù Cristo di padre Giuseppe Ricciotti e produsse tirature da urlo. Come se non bastasse produttore della Dolce vita, e pure in questo caso è Montanelli a raccontare che cosa pensasse di Fellini: «Perché quel tipo lì, come si chiama? Se riesce a far recitare gli altri come recita lui, farà certamente qualcosa che magari non si vende, ma che valeva la pena di fare. Perché quello lì per metà è un ciarlatano, ma per l’altra metà è un genio».
Sobrietà e amicizie
Molto lontano dalle cronache mondane era invece l’Incantabiss, che originò un numero assai minore di leggende metropolitane ma che nonostante gli inizi umilissimi riuscì più del rivale a conquistarsi un certo carisma culturale, perché la ripartizione tra i due imperi rimase in fondo quella originale, alla Mondadori i libri e alla Rizzoli i giornali. E allora ecco Arnoldo a Meina, nella sobria casa sul lago, con Thomas Mann appena dopo la guerra, con gli autori della casa per certi pranzi natalizi (Piovene, Ungaretti, Bassani, Buzzati, Oreste del Buono, Mario Soldati e Domenico Porzio che rimase uno degli elementi fondamentali del cerchio magico), con Walt Disney che nel 1935 venne personalmente a omaggiarlo per i successi di Topolino. L’intreccio d’amicizia e di parentela con i Monicelli: il giornalista Tomaso amico fraterno e mentore agli inizi della casa editrice, poi diventato cognato quando ne sposò la sorella Andreina; e il regista Mario che di Tomaso era figlio. Arnoldo fu l’uomo della Medusa e, alla fine della vita, dei Meridiani. Non scevro da connivenze con il fascismo, poi riparato in Svizzera, poi esulcerato dai dissidi col figlio ribelle Alberto: e in questo le due dynasty finirono per assomigliarsi, perché dopo la morte dei padri fondatori per le seconde e terze generazioni si scatenò il diluvio.
A tutt’e due piacevano il lavoro ben fatto e l’odore d’inchiostro. Si incontravano di striscio d’estate a Cortina, durante le passeggiate. «Il papà alzava il bastone in segno di saluto», ha raccontato Cristina Mondadori, «e poi ci diceva: è passato Erre».