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 2015  febbraio 20 Venerdì calendario

Gino Paoli, dal cielo in una stanza ai soldi in un caveau. Il seggio col Pci e il vertice Siae, quante battaglie per la legalità

Chissà se Gino Paoli – che domani sera alle 21 si dovrebbe esibire a Settimo Torinese alla «Suoneria-La Casa della Musica» – dopo l’accusa di aver portato di nascosto 2 milioni di euro in Svizzera, la perquisizione domestica da parte degli uomini della Guardia di Finanza di Genova e l’iscrizione nel registro degli indagati, come confermato dal procuratore della Repubblica del capoluogo ligure, Michele Di Lecce, riuscirà ad esibirsi tranquillamente.
L’accusa di evasione fiscale ha già scatenato una mitragliata di velenose battute sui social network e una ridda di facili ironie, facendo il verso ai grandi successi del cantautore ligure («Eravamo quattro amici al bar che non volevano pagare il conto...»; «C’era una volta una tassa...»; «Questo conto non ha più pareti»), resta da vedere se il garante e presidente della Società italiana autori ed editori (Siae), resterà a lungo alla guida dell’Ente pubblico che deve/dovrebbe tutelare dai «pirati moderni» il diritto d’autore.
Arrivato in Siae nel maggio 2013 – per volontà di Enrico Letta – Paoli avrebbe dovuto guidare l’ente fuori da una travagliata stagione di conti in rosso, gestione allegra e sprechi. Paoli – ex parlamentare eletto nelle fila del Pci alla Camera (dal 1987 al 1992) – ha sempre rivendicato la sua anima da compagno. Nel 2005 – in un’intervista al Corriere della Sera – confessa la sua fede politica e la battaglia contro chi non vuole pagare (i diritti d’autore), lotta ideale che anni dopo lo porterà proprio alla presidenza della Siae: «Ho attaccato Berlusconi quando non voleva pagare la Siae, negando alla cultura la sua fonte di sostentamento. Per il resto, non avevo nulla da dimostrare. Tutti sanno bene come la penso. E io non ho cambiato idea; sono loro (i comunisti, ndr) ad averla cambiata. Io sono sempre di sinistra, diciamo pure comunista; sono loro a non esserlo più».
Sarà anche per questa ammissione che ieri anche Matteo Salvini, nuovo leader della Lega Nord, si è unito a chi prendeva in giro il cantante: «Gino Paoli, oggi presidente della Siae e in passato parlamentare con il Partito Comunista, è indagato per evasione fiscale. Compagni che sbagliano?», domanda sarcastico sul suo profilo Facebook il segretario lumbard.
Successi ed esibizioni a parte (sul sito ufficiale vengono pubblicizzate le prossime date fino a marzo, il 15 sarà a Massa), alla presidenza della Società degli autori, Paoli ha imposto una comunicazione, e un azione politica, tutta «improntata alla legalità». Nel maggio scorso, ad esempio, la Siae si è anche imbarcata sulla «Nave della legalità», per inculcare ai giovani il concetto del rispetto della legge. E poi, a giugno, come atto fondamentale del nuovo corso (dopo il commissariamento), sempre Paoli ha presentato una relazione sulla trasparenza e un «Piano di prevenzione della corruzione della Società». O la battaglia per l’equo compenso e far pagare alle multinazionali le tasse sui diritti in Italia.
Resta da vedere se l’inchiesta dimostrerà la presunta evasione record (si stima un mancato incasso per l’Erario di 700/800mila euro per i redditi 2008), o se perquisizioni e sequestri si riveleranno inifluenti. Certo, il danno d’immagine per Gino Paoli è notevole. Ieri il commercialista genovese Andrea Vallebuona che, involontariamente, avrebbe dato avvio all’inchiesta per evasione fiscale a carico del cantante, ha confermato che «il signor Paoli si rivolse a me all’inizio del 2014 per conferirmi un incarico professionale relativo a sue attività personali. Nel corso di tale rapporto è stato fatto cenno a problemi che riguardavano il rientro di capitali dall’estero. Ma nulla è stato fatto al riguardo da parte mia».
Di sicuro Paoli dovrà spiegare ai magistrati conti e movimentazioni delle varie società che fanno capo a lui e alla famiglia. E c’è già chi ne chiede le dimissioni come i grillini: «Le notizie riportate dalla stampa, che vedono il presidente della Siae indagato per una maxi-evasione fiscale, ci inducono a chiedergli di valutare seriamente le dimissioni dalla sua carica», suggerisce una nota diffusa ieri dal Movimento 5 Stelle. Chissà che Renzi, cantandogliene quattro, non chieda a Gino un passo indietro...