la Repubblica, 20 febbraio 2015
Sempre più ebrei europei si trasferiscono in Israele. Dopo gli attacchi terroristici a Parigi e Copenaghen aumenta il numero di immigrati dalla Francia e dagli altri Paesi Ue. Netanyahu: «Ci prepariamo ad arrivi di massa»
Il premier d’Israele Benjamin Netanyahu si è rivolto nei giorni scorsi a tutte le comunità della diaspora del Vecchio Continente, dicendosi certo che «l’ondata di attacchi terroristici contro gli ebrei continuerà», suscitando qualche reazione anche fra i dirigenti delle comunità europee. Poi si è mosso anche su un altro campo: il governo israeliano ha varato misure per «preparare Israele a una immigrazione di massa». Un piano da 180 milioni di shekel (quasi 41 milioni di euro) per incoraggiare l’assorbimento di nuovi arrivi dopo i recenti attentati terroristici, da Francia e Belgio e dall’Ucraina straziata dalla guerra civile, visto che in base alla Legge del Ritorno ogni emigrante ebreo che si trasferisce in Israele ha diritto ad una serie di facilitazioni finanziarie e fiscali.
Ma l’ondata di nuovi immigrati attesa dal premier dall’Europa fatica ancora a vedersi. «I numeri sono effettivamente in crescita», spiega Sergio Della Pergola, professore all’Università ebraica di Gerusalemme e demografo fra i più accreditati nel mondo accademico, «ma hanno rappresentato nel 2014 non più dell’1 per cento della popolazione ebraica in Europa, davvero poco perché si possa parlare di esodo». Fatto sta che in Israele – secondo gli ultimi dati – sta aumentando l’immigrazione di ebrei dal Vecchio Continente, a cominciare proprio da quelli francesi: nell’anno appena trascorso sono stati 6.658, più del doppio dell’anno precedente, mentre a gennaio 2015 si è già arrivati a 1.835. È necessario però considerare che in Francia vive la più numerosa comunità ebraica, che sfiora il mezzo milione di persone. «È vero che i dati ci dicono che migliaia di persone in Francia e in altri Paesi europei», spiega a il professor Della Pergola, «hanno valutato la possibilità di lasciare i loro Paesi, così come in Ucraina dove i combattimenti hanno investito zone dove è più densa la presenza ebraica, ma fra il dire e il fare ce ne corre, e nelle condizioni attuali dell’Europa per quanto problematiche dal punto di vista economico e della sicurezza, la forza di stare dove ci si trova è ancora predominante rispetto all’avventura del cambio di Paese e di vita».
Il dato sorprendente del 2014 riguarda invece l’Italia che ha registrato in termini proporzionali il più alto numero di “aliah” degli ultimi 40 anni: 323. «Ovviamente sono numeri piccoli», spiega il professore, «visto che la comunità in Italia si assesta intorno alle 25 mila unità». I motivi di questa emigrazione a giudizio di Della Pergola sono la crisi economica che investe tutti gli italiani, l’antisemitismo dei media, di Internet, di vasti settori della politica. «Niente di paragonabile a quello che accade in Francia», vuole precisare subito, «in Italia il numero delle aggressioni è vicino allo zero, ma il disagio c’è».
Ma dove andranno ad abitare le migliaia di ebrei europei che Netanyahu si aspetta? I leader di diversi insediamenti della Cisgiordania occupata hanno già presentato all’ufficio del premier i piani allargamento di queste colonie, che saranno ampliate, in terre che sono oggetto della trattativa di pace con l’Anp di Abu Mazen, ferma su un binario morto da quattro anni nonostante le pressioni internazionali. La situazione in Europa potrebbe peggiorare, ma in Israele potrebbe non essere migliore. «I nuovi immigrati», scriveva ieri su Haaretz il columnist Zvi Barel «scopriranno che la loro sicurezza non è più soggetta ai capricci dello Stato islamico o di Al Qaeda, e non saranno obiettivo di gesti atroci di antisemitismo, ma per essere veri israeliani, dovranno adattarsi alla depressione israeliana e alla costante paura di una guerra o della distruzione di massa, oppure di entrambe».