Il Sole 24 Ore, 19 febbraio 2015
C’è una notizia cattiva e una buona dal fronte ucraino. La prima è che nonostante la fine dell’assedio di Debaltseve, il rafforzamento della tregua e il probabile inizio del ritiro delle armi pesanti dalla linea del fronte, la pace in Ucraina non ci sarà. La buona notizia è che la collaborazione fra Usa e Russia sugli altri problemi del mondo, continua, come nel caso della Libia
C’è una notizia cattiva e una buona dal fronte ucraino. La prima è che nonostante la fine dell’assedio di Debaltseve, il rafforzamento della tregua e il probabile inizio del ritiro delle armi pesanti dalla linea del fronte, la pace in Ucraina non ci sarà. Almeno non quella che Angela Merkel e François Hollande speravano di avviare a Minsk. Risolte le questioni immediate di natura militare – cessate il fuoco e disimpegno delle forze in campo – l’accordo politico necessita di due obiettivi.
Il primo obiettivo è il mutamento della Costituzione ucraina che sancisce una qualche forma di distinzione dell’Est filo russo dall’Ovest; il secondo, la necessità che, almeno fino a un cambiamento costituzionale, il lato ucraino della frontiera con la Russia sia presidiato dalle autorità di Kiev. Non verrà realizzata nessuna delle due necessità indicate ma volutamente non precisate a Minsk. La parte ucraina non intende chiarire meglio la riforma costituzionale né quella russa il controllo della frontiera.
Questo porterà a ciò che forse era il vero obiettivo di Vladimir Putin: congelare, non risolvere il conflitto. Paralizzare la soluzione non significa necessariamente riprendere la guerra, ma risolvere con altri mezzi l’impasse politica. Se Poroshenko realizzerà le riforme economiche che il Fondo monetario internazionale vuole per sborsare miliardi di aiuti finanziari, l’Ucraina di Kiev scivolerà lentamente ma inesorabilmente verso Occidente. Intanto l’Ucraina di Donetsk e Lugansk andrà con più rapidità ma altrettanto definitivamente verso Mosca. Se non ci saranno drammatizzazioni militari e se Putin non ha ambizioni più vaste (per questo è consigliabile che le sanzioni occidentali restino per qualche tempo), un giorno tutti constateranno che di Ucraine ce ne sono due.
A pensar male di Vladimir Putin che conosce quelli che comandano a Kiev, è possibile che congeli il conflitto scommettendo sulla loro incapacità di realizzare le riforme dell’Fmi. Il perdurare della crisi economica spingerebbe gli ucraini a pensare che si stava meglio quando si stava peggio, al servizio di Mosca. Ma c’è chi pensa che Putin abbia rinunciato al disegno di una Ucraina sottomessa come un tempo, e sponda europea necessaria al suo progetto di unione economica euro-asiatica. Secondo Dmitri Trenin, grande esperto del centro moscovita del Carnegie, invece, il modello economico di Putin sta già passando dalla vecchia idea di una “Grande Europa da Dublino a Vladivostok”, fatta per solleticare le imprese tedesche, a una più nuova da San Pietroburgo a Shanghai, ritagliata per il gigante cinese. Quale sia il modello, con evidenti sottintesi geopolitici, fallirà se la Russia non farà le sue urgenti riforme economiche.
C’era anche una buona notizia, riguardo alla crisi ucraina. Russia e Stati Uniti appoggeranno all’Onu la richiesta egiziana di una missione internazionale in Libia per fermare l’Isis. E la settimana scorsa, mentre si discuteva a Minsk, a New York i russi hanno presentato al Consiglio di sicurezza una risoluzione per bloccare i canali finanziari e militari attraverso i quali il califfato si alimenta. Il documento è stato votato all’unanimità, senza obiezioni americane. Il senso della buona notizia è che nonostante l’Ucraina, la collaborazione fra Usa e Russia sugli altri problemi del mondo, continua.