Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  febbraio 19 Giovedì calendario

A Derna 155 miliziani sono uccisi dal blitz di terra egiziano, altri 55 catturati. Dopo due giorni di bombardamenti dal cielo Al Sisi ha voluto dare un’altra dimostrazione di forza. L’Italia si dice pronta ad assumere un ruolo guida. Intanto il governo di Tobruk ha chiesto all’Onu di revocare l’embargo sulla vendita di armi per rafforzare la lotta all’Isis. Il pantano libico

L’attacco di terra in Libia è già arrivato. Un blitz nella tana del lupo dell’Isis, a Derna, capoluogo in terra libica del califfato. Condotto ieri all’alba dalle forze speciali egiziane, la «task force 999», un’unità speciale per operazioni all’estero. Un raid perfetto, secondo fonti del Cairo: condotto «da 30 militari», con 155 miliziani dello Stato islamico uccisi, altri 55 catturati, nessun soldato egiziano ferito.
Dopo due giorni di bombardamenti dal cielo il generale Abdel Fattah Al Sisi, presidente dell’Egitto, ha voluto dare un’altra dimostrazione di forza, in profondità nel territorio libico, a 400 chilometri dal confine. Vicino alla frontiera, lo stesso Al Sisi ha visitato la base dell’aeronautica di Habata e ribadito che userà tutti gli strumenti per impedire «che venga compromessa la sicurezza nazionale».
Anche Tripoli fa i raid
Tempi e logistica del blitz tendono a confermare che forze speciali egiziane sono già nella zona di Tobruk, dove ha sede il governo amico di Abdullah al Thani e operano le forze militari e paramilitari dell’altro amico, il generale Khalifa Haftar. Ma i toni prudenti di Al Sisi hanno anticipato il mutare del vento all’Onu, dove l’ipotesi di un via libera a un intervento massiccio di forze internazionali in Libia è sempre più lontano. Crescono invece quelle di un «modello Iraq-Siria» per contrastare l’Isis senza impegnare «stivali sul terreno». Quindi forze locali appoggiate dal cielo dai caccia della coalizione, come i curdi a Kobane. Un primo esempio era arrivato martedì a Sirte, altra roccaforte dell’Isis. Le milizie islamico-moderate di Misurata hanno investito i miliziani dopo che i raid egiziani li avevano martellati. I jihadisti si sono arroccati nel centro città.
A Sirte, nel 2011, era finita l’avventura di Gheddafi, ucciso dai rivoluzionari appoggiati dalla Nato. I loro eredi si sono spartiti il bottino e continuano a combattere, anche se ieri l’inviato Onu per la Libia Bernardino Leon ha parlato di accordo «possibile e presto» fra le fazioni. Ma il governo islamico moderato di Tripoli, guidato dal premier Omar al Hasi, dopo aver condannato come «terroristici» i raid egiziani, ha fatto alzare in volo i suoi vecchi Mig-23 e colpito l’aeroporto di Zintan, a Ovest della capitale, da dove le milizie berbere alleate di Tobruk lanciano attacchi.
Le ipotesi di bozza
Un groviglio di alleanze e contro-alleanze che oltre a favorire l’Isis rendono impossibile un chiaro schieramento di forze. Non c’è un fronte definito, come fra i peshmerga curdi e l’Isis in Iraq. E questo complica la partita diplomatica all’Onu.
Il Consiglio di Sicurezza riunito su richiesta di Francia ed Egitto, ha discusso nella notte l’ipotesi di un’operazione di «peace enforcing». L’Italia, con il suo ambasciatore Sebastiano Cardi ha ribadito la sua determinazione «a contribuire alla stabilizzazione» libica e «ad assumere un ruolo di primo piano nella cornice dell’iniziativa Onu». Ieri anche Il Cairo ha rinunciato all’intervento con truppe straniere e, assieme al governo libico di Tobruk, ha chiesto all’Onu di revocare l’embargo sulla vendita di armi, per rafforzare la lotta all’Isis. Il pantano libico comincia a far paura a tutti.