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 2015  febbraio 19 Giovedì calendario

Nonostante siano sempre più senza soldi e a rischio fallimento, l’80% dei greci non vuol abbandonare Tsipras. Un lustro di austerity, la disoccupazione al 25% e il 40% di persone sulla soglia della povertà hanno polverizzato barriere sociali, prevenzioni ideologiche e rancori politici

Senza soldi. A rischio crac. Ma – parola di Alexis Tsipras – «a testa alta». Atene arriva al D-Day in cui si deciderà il destino del Paese e dell’euro in un clima stranamente euforico, lontano mille miglia dalla rassegnazione degli ultimi anni. Un lustro di austerity, la disoccupazione al 25% e il 40% di persone sulla soglia della povertà hanno polverizzato barriere sociali, prevenzioni ideologiche e rancori politici. La Grecia è sola contro tutti. E il neo premier, un po’ isolato quando prende l’aereo e va a Bruxelles, qui sotto l’Acropoli è riuscito nel miracolo di mettere d’accordo quasi tutti. Non c’è destra e non c’è sinistra, non contano età e reddito: l’80% dei suoi concittadini, dicono i sondaggi, è con lui.
«Non ho mai partecipato a una manifestazione in vita mia e ho sempre votato Nea Demokratia – racconta a due passi da un Partenone spruzzato dalla neve Nikos Karagiannis, 62 anni di coerente militanza a destra –. Ma troppo è troppo. Ieri ho sentito in tv Wolfang Schaeuble che diceva di essere dispiaciuto per noi greci, rei di aver eletto un governo irresponsabile. E ho deciso: se domani la gente torna in piazza, turandomi il naso, ci sarò pure io».
Tutti, naturalmente, sanno che si sta scherzando con il fuoco: nelle casse dello Stato – ha ammesso ieri il ministro delle Finanze Yanis Varoufakis – «ci sono due miliardi meno di quanto pensassimo». Commerbank ha alzato dal 25 al 50% le possibilità che Atene esca dall’euro. Da fine dicembre i greci, per paura del default, hanno ritirato dai conti correnti 20 miliardi in contanti, tutti soldi finiti al sicuro all’estero o nel materasso. «Siamo sul Titanic e l’iceberg è davanti alla prua – scherza Vassilis, edicolante a fianco del Museo dell’Acropoli – ma le dico una cosa: se ci schianteremo sul ghiaccio lo faremo con dignità, senza quel fatalismo con cui abbiamo mandato giù di tutto dal 2010 al 25 gennaio scorso».
«Il paese aveva bisogno di qualcuno che cominciasse a dire qualche “No” e gli restituisse un po’ d’orgoglio», ha sostenuto Tsipras in Parlamento, provando a spiegare il gradimento bulgaro di queste ore. Conscio che i problemi inizieranno se e quando – forse già domani – dovrà iniziare a dire qualche sì ai falchi del rigore. I fratelli coltelli del Kke, il partito comunista, lo aspettano al varco («alla fine si piegherà alla Troika pure lui»); l’ala sinistra di Syriza – destinata per molti in futuro a dargli più grattacapi della Merkel – non gli perdona già ora la scelta come presidente della Repubblica di Prokopis Pavlopoulos, decano del centrodestra di Nea Demokratia, eletto ieri con 233 voti su 300, altro segno in cifre di questo momento di concordia nazionale. La piazza però, almeno per adesso, sembra pronta a perdonargli tutto: «Nessuno si aspettava molto da Tsiin pras. Tanti l’hanno votato giusto per provare a cambiare, sicuri che non sarebbe cambiato nulla – spiega Giorgos Vourazeri, quattro anni di studio di farmacia a Trieste e oggi titolare di uno dei banchi del pesce nel mercato vecchio di Atene –. Una cosa però è certa: negli ultimi cinque anni la crisi si era rubata l’anima del paese. Oggi, almeno quella, il nuovo governo ce l’ha restituita».
Lo pensano in molti: le ventimila persone scese in piazza davanti al Parlamento qualche giorno fa a sostegno dell’esecutivo senza bandiere di partito e rispondendo a una convocazione via Facebook sono un fenomeno che nella capitale non si era mai visto. La Tsipras-mania ha contagiato pure l’emiciclo del Parlamento, dove per tradizione ci si mette al vento. «Il premier e Varoufakis sono come i giocatori della nostra nazionale che sudano all’estero per difendere la bandiera e la maglia bianco-azzurra», ha applaudito ecumenico Takis Baltakos, uno dei “talebani” del centrodestra ellenico. Persino Alba Dorata ha lanciato segnali di fumo all’esecutivo, condividendone la linea pro-Russia e dichiarandosi pronta a votare le leggi contro la crisi umanitaria.
«Prima o poi i nodi arriveranno al pettine – sostiene pessimista davanti all’ospedale Evangelismos l’infermiera Irene Allagiannis, una delle poche voci fuori dal coro –. La retorica dovrà lasciare il posto ai risultati. E lì cascherà l’asino. Ne arriveranno pochi, anche per l’inesperienza e il dilettantismo dimostrato in Europa in questi primi giorni dai nostri politici». Il muro contro muro, dice lei, non pagherà: «E vedrà che alla fine tutto questo consenso plebiscitario si scioglierà come neve al sole in poche settimane, lasciando il posto a scenari che non oso nemmeno immaginare». I neo-nazisti di Nikos Michaloliakos (ancora in carcere in attesa di processo) – è il timore di molti – sarebbero i primi a guadagnare dalle macerie di un eventuale insuccesso di Syriza.
Per ora le cose vanno altrimenti. E l’onda lunga del consenso fa perdere ogni tanto un po’ di prospettiva. Ad Atene sono sempre più le persone che definiscono il premier «il nuovo Andreas Papandreou», bruciando un po’ le tappe. All’esperto di teoria dei giochi Varoufakis, ormai un’icona internazionale e sciupacuori che nemmeno Brad Pitt, è stato dedicato persino un videogame, «Syrizaman vs. Troika». Nel Peloponneso si grida al “Miracolo di Tsipras” perché un crocifisso del primo novecento lacrima misteriosamente dal 25 gennaio, la sera della vittoria elettorale. I suoi concittadini – più prosaicamente – si attendono a breve altri miracoli dalle parti di Bruxelles. «Varoufakis davanti all’Eurogruppo non sarà da solo – ha spiegato il presidente del Consiglio –. Al tavolo con lui ci saranno 11 milioni di greci». Oggi è davvero così. Si vedrà se Schaeuble e Dijsselbloem, seduti dall’altra parte, avranno voglia di ascoltarli.