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 2015  febbraio 18 Mercoledì calendario

Cina, viaggio infernale nella Foxconn, la fabbrica globale», maggior datore di lavoro al mondo. Un libro di Ferruccio Gambino e Devi Sacchetto svela la nuova schiavitù che si nasconde dietro il vertiginoso aumento del profitto

«Ogni giorno ese­guo dalle quat­tro­mila alle cin­que­mila volte lo stesso movi­mento», rac­conta un’operaia della Fox­conn. Ogni giorno, un lavo­ra­tore impie­gato in una delle fab­bri­che Fox­conn, com­pie dai 18mila ai 20mila movi­menti per turno. Lo fa in una posi­zione di lavoro limi­tata, minu­scola, iso­lata dal resto delle per­sone, con­trol­lata e sor­ve­gliata. Non si può ridere, non si può par­lare. Si devono rag­giun­gere gli obiet­tivi di pro­du­zione. Se non ci si rie­sce, si lavora di più. E quel tempo in più, non è straor­di­na­rio, non viene pagato. Poi si va nel dor­mi­to­rio, dove non si lavora, ma non si vive cer­ta­mente liberi. Mac­chine, automi, pic­coli com­po­nenti di pro­cessi tay­lo­ri­stici e for­di­sti che tra­dotti in man­da­rino signi­fi­cano: ridurre i costi del lavoro. E aumen­tare il pro­fitto. Die­tro agli automi c’è natu­ral­mente un’umanità, vera, car­nale, nono­stante sia schiac­ciata dalla schia­vitù eco­no­mica e morale, san­cita dai dor­mi­tori dove il lavoro non recede, ma per­mea e asfis­sia – attra­verso la disci­plina – ogni momento della pro­pria vita. Sia in linea, sia in camera, si è sot­to­po­sti a un ordine, a regole e a un destino biz­zarro: ci si aliena per pro­durre un bene che poi si brama (ad esem­pio gli smart­phone). Dall’altro lato, nelle stanze dei padroni, tutto è scon­tato: c’è chi deve sot­to­met­tersi e subire anghe­rie, senza otte­nere alcuna sod­di­sfa­zione, se non un magro sti­pen­dio. Ma con gli stessi stru­menti che si pro­du­cono, ci si orga­nizza e ci si ribella.
La parola «detta»
Ecco come si è svi­lup­pato il pro­cesso di cre­scita cinese, nella sua fase di «fab­brica del mondo»: unendo la velo­cità d’esecuzione, la sot­to­mis­sione e l’atomizzazione. C’è molto turn over nelle fab­bri­che Fox­conn: non è un pro­blema in un paese di un miliardo e 400 mila abi­tanti, desi­de­rosi di diven­tare «cit­ta­dini». Que­sto pro­cesso, su cui lo Stato cinese ha costruito la pro­pria for­tuna, non senza costi in ter­mini ambien­tali e di ten­sioni sociali, lo spiega per­fet­ta­mente un volume pub­bli­cato da ombre corte, Nella fab­brica glo­bale, Vite al lavoro e resi­stenze ope­raie nei labo­ra­tori della Fox­conn, a cura di Fer­ruc­cio Gam­bino e Devi Sac­chetto (pp 230, 20 euro). Si tratta di un volume com­po­sito, fatto di nar­ra­tive jour­na­lism, di testi­mo­nianza e con­ce­pito tra ana­lisi, inchie­sta e atten­zione a quanto accade anche al di là dei con­fini, sep­pure vasti, della Repub­blica popo­lare cinese.
I meriti di que­sto libro sono tanti. Il primo è quello di entrare nel cuore delle fab­bri­che e soprat­tutto par­lare con i lavo­ra­tori cinesi, un metodo infal­li­bile per capire cosa suc­ceda là den­tro. Ambiti di cui spesso abbiamo noti­zie solo attra­verso foto. «La Fox­conn – come rias­su­mono gli autori – è un’impresa con­trol­lata dalla società Hon Hai Pre­ci­sion Indu­stry, fon­data nel 1974 da Terry Gou». Oggi è il mag­gior datore di lavoro al mondo, con i suoi 1,3 milioni circa di occu­pati. Oltre un milione lavo­rano in Cina.
Tra il gen­naio e il dicem­bre del 2010, presso la Fox­conn, sono avve­nuti 18 ten­ta­tivi di sui­ci­dio con 14 morti e 4 feriti. «La tra­ge­dia della cosid­detta “serie di salti”, come è stata bat­tez­zata dai media, ha destato grande scal­pore». Si tratta, sep­pure in forme diverse, del risul­tato delle pre­sunte irre­go­la­rità dell’azienda. Par­liamo – come scri­vono Pun Ngai, Han Yuchen, Guo Yuhua e Lu Hui­lin nel primo capi­tolo – di supe­ra­mento del limite mas­simo di ore di straor­di­na­rio, sospetto di infra­zione della legge sul lavoro per quanto riguarda il paga­mento degli straor­di­nari. La Fox­conn è stata anche sospet­tata di aver vio­lato le norme sui tiro­ci­nanti, sulla sicu­rezza sul lavoro e la pre­ven­zione e il trat­ta­mento delle malat­tie pro­fes­sio­nali (e a que­sto pro­po­sito il libro pre­senta testi­mo­nianze di vit­time di infor­tuni sul lavoro, mai ricom­pen­sati dall’azienda).
Il riposo sor­ve­gliato
«Ope­raie e ope­rai di pro­du­zione sono allog­giati in otto in una camera di circa trenta metri qua­dri, con un bagno sepa­rato». Suc­cede nel dor­mi­to­rio di Wuhan, uno degli esempi por­tati dagli autori del libro. Un altro ele­mento rile­vante del «mondo Fox­conn» è, infatti, quello rela­tivo al «dor­mi­to­rio» che non è un luogo di riposo bensì il pro­lun­ga­mento del banco da lavoro e della catena di mon­tag­gio. All’interno, vige un regime rigido. «Ope­raie e ope­rai non pos­sono lavare per conto loro i vestiti e nem­meno usare l’asciugacapelli; alle 23 al più tardi devono essere rien­trati al dor­mi­to­rio per­ché in caso di tra­sgres­sione incombe la puni­zione». A essere spez­zate sono le rela­zioni sociali.
«Una pro­du­zione inten­siva, bassi salari, un sistema di disci­pli­na­mento severo così come una divi­sione sociale e lavo­ra­tiva degli occu­pati carat­te­riz­zano la situa­zione negli sta­bi­li­menti. La dire­zione della mul­ti­na­zio­nale dà infatti per scon­tata la lesione della dignità degli ope­rai e delle ope­raie per rispar­miare sui costi». La Fox­conn fa lavo­rare le pro­prie fab­bri­che per 24 ore al giorno, attra­verso due turni: dalle 8 alle 20 e dalle 20 alle 8, il 73% degli impie­gati lavora più di dieci ore. «Siamo come gra­nelli di pol­vere – dice un’operaia -. Se te ne vai tu, viene qualcun’altra e fa il tuo lavoro. In que­sta fab­brica noi operai/e di pro­du­zione non con­tiamo. Siamo solo un attrezzo di lavoro». In un libretto con le norme di com­por­ta­mento, come fos­sero cita­zioni mili­ta­re­sche e para­fa­sci­ste di Terry Guo il boss, si legge: «I sot­to­po­sti devono asso­lu­ta­mente obbe­dire ai superiori».
Bagong! (Scio­pero)
Nel set­timo capi­tolo, Jenny Chan, Pun Ngai, Mark Sel­den si occu­pano delle riven­di­ca­zioni nelle fab­bri­che Fox­conn. Secondo il loro parere, «le lotte ope­raie in Cina sono aumen­tate a par­tire dalla metà degli anni ’90 e si sono evo­lute qua­li­ta­ti­va­mente. Sono degne di nota soprat­tutto le richie­ste di aumenti sala­riali oltre il livello minimo locale». Dopo tutto il pati­mento descritto nei capi­toli pre­ce­denti, que­sta parte del libro costi­tui­sce una sorta di sol­lievo.
Può esi­stere una coscienza di classe tra i gio­vani che lavo­rano alla Fox­conn? E che tipo di lotte si sono svolte, con quali obiet­tivi? Il 3 gen­naio 2012 – ad esem­pio – ci fu una delle pro­te­ste più cla­mo­rose: più di cen­to­cin­quanta lavo­ra­tori insor­sero con­tro «la pes­sima distri­bu­zione delle man­sioni» e misero in scena lo «show del salto dall’edificio» (tiao lou xiu), un modo di dire che mischia ter­mini cinesi (tiao: sal­tare, lou: edi­fi­cio) e ter­mini inglesi: xiu che qui sta per show.
Minac­cia­vano di but­tarsi dall’edificio della fab­brica se i mana­ger non aves­sero risolto le que­stioni sala­riali. Negli ultimi due anni, tante altri scio­peri e riven­di­ca­zioni hanno con­trad­di­stinto le fab­bri­che Fox­conn. Pro­te­ste orga­niz­zate con pas­sa­pa­rola, smart­phone, applicazioni.
Modello da espor­tare
Ora imma­gi­na­tevi tutto que­sto in Europa. È que­sto il salto della Fox­conn: la siniz­za­zione del mondo del lavoro (almeno nei paesi dove si è sta­bi­lita e di cui si sa molto poco, come Tur­chia, Rus­sia, Unghe­ria). Nel capi­tolo nono del volume, Rut­vica Andri­ja­se­vic e Devi Sac­chetto si occu­pano della Fox­conn in Europa, in par­ti­co­lare in Repub­blica Ceca, dove si sta svi­lup­pando un’importante indu­stria elet­tro­nica. La Fox­conn può così espan­dersi e pro­durre per il mer­cato occi­den­tale uti­liz­zando la più pre­sti­giosa dici­tura «made in Eu». Una prima con­sta­ta­zione: «La Fox­conn, come le altre imprese stra­niere col­lo­cate nella Repub­blica Ceca, ha potuto con­tare su una vera e pro­pria ’mac­china sta­tale’ messa in campo per attrarre gli inve­sti­menti stra­nieri». Richie­sta di soldi asia­tici, chiu­dendo un occhio sui diritti dei lavo­ra­tori, con risul­tati nega­tivi per tutti. La Fox­conn ha finito per imporre salari medi infe­riori a quelli pre­ce­denti. Come in Cina, inol­tre, la pro­du­zione è basata sulla «velo­cità d’esecuzione». Capi­re­parto e capi­li­nea met­tono sotto pres­sione i lavo­ra­tori per man­te­nere ele­vato il ritmo pro­dut­tivo. I turni sono di 12 ore, le con­di­zioni di lavoro e le pres­sioni por­tano anche a un ele­vato numero di inci­denti e infor­tuni. E anche in Repub­blica Ceca, per gli inte­ri­nali – che costi­tui­scono il 60% degli occu­pati – esi­stono i dormitori.
Nelle con­clu­sioni, emerge il punto focale cui mira tutto il volume. Gli autori riten­gono si debba insi­stere nell’analisi della pro­du­zione glo­bale della Fox­conn. I due mondi, quello cinese e quello euro­peo, sono molto più vicini di quanto si possa pen­sare. Non si tratta solo di bassi salari, di tempo di lavoro, di pres­sioni e disci­plina. Si tratta di capire come la Fox­conn gesti­sca la sua forza lavoro globale.