Corriere della Sera, 18 febbraio 2015
Nel magico mondo di Arturo Brachetti, tra illusioni, trasformismi e realtà: «Ho sempre coltivato la mia sindrome di Peter Pan. Mi ha dato da vivere. Però adesso, a 57 anni, devo rifare i conti con lui e con me. Ritrovare pezzi, buttarne alcuni, ricomporne altri... Quel “puzzle” difficile che Arturo deve mettere insieme durante lo spettacolo è anche il mio»
Valigie, casse, bauli accatastati. Un deposito di oggetti dimenticati, viaggi interrotti, vite in transito. «Il limbo me lo immagino così» sostiene Arturo Brachetti, che per aver fatto il seminario dai salesiani di queste cose se ne intende. E ora, superato da un po’ il mezzo del cammin di nostra vita, il trasformista più famoso del mondo non resiste alla tentazione di dare una sbirciata in quel non luogo di anime perse, in attesa di venir trasferite «altrove». Comincia da lì Brachetti che sorpresa!, suo nuovo spettacolo, venerdì a Carpi e poi in tour per varie città tra cui Genova, Bologna, Torino, Milano, Firenze, Roma e di nuovo Torino.
Con Arturo catapultato in quello strano posto, tra bagagli provenienti da tutto il mondo, ciascuno con le sue storie. «Come in un sogno, non so dove mi trovo e come sono arrivato. So solo che devo cercare la mia valigia. Una valigia rossa». Aprirla e vedere quello spazio trasformarsi in una sorta di videogame sarà tutt’uno. «Ne usciranno un maiale con le ali molto magrittiano inseguito da un cicciottello armato di forchettone. E poi una coppia di pazzi strampalati, Luca e Tino. E un giovane mago, Luca Bono. E Francesco Scimeni, illusionista comico. E Kevin Michael Moore, il mio alter ego. Stavolta in scena siamo in tanti, è uno show corale». In più c’è lui, il Grandissimo Fratello. «Il web farà la sua parte. La scena sarà interattiva, in videomapping, e un laser a colori, inedito in Italia, mi trasformerà in fumetto vivente, pistolero, ma anche sceriffo e bella del saloon...».
Metamorfosi stupefacenti che solo lui, il trasformista più veloce del West, riesce a compiere in un paio di secondi. «Sono stato un pioniere delle nuove tecnologie, il primo attore italiano ad avere un sito. Era il 1991. Ma tutta la grande magia del web non vale quell’arte povera e meravigliosa che mi insegnò un prete in collegio. Perché la magia più è tecnologica e meno funziona. È un po’ come il sipario a teatro. Finché c’era l’omino a tirarlo potevi star certo che si aprisse sempre, adesso quello elettrico a volte s’inceppa...».
Il segreto sta nell’intrecciare mondi: l’immaginario del computer e la fantasia di Brachetti. Gli avatar e i porci volanti. Eroi virtuali e surreali. «Ho sempre coltivato la mia sindrome di Peter Pan. Mi ha dato da vivere. Però adesso, a 57 anni, devo rifare i conti con lui e con me. Ritrovare pezzi, buttarne alcuni, ricomporne altri... Quel “puzzle” difficile che Arturo deve mettere insieme durante lo spettacolo è anche il mio».
Piccole morti e piccole rinascite. «La morte non mi fa paura. Con i miei personaggi ho vissuto mille vite, messo in pratica i sogni più folli. Con la morte gioco da sempre. Dovesse presentarsi, faccio un attimo a trasformarmi in qualcun altro e lasciarla con un palmo di naso. Son più svelto di lei». Nel mentre, è ben deciso a non farsi catturare dal tempo. Il ciuffetto è sempre impertinente sulla fronte, il fisico scattante come da ragazzo. «A invecchiare al posto mio ci pensa mio fratello. Si occupa delle cose pratiche, ha fatto famiglia e figli. Io mi sono tenuto i sogni».
E una valigia rossa. «Tantissime valigie. Quando vado in giro ne porto almeno una dozzina». Per forza, con tutti quei vestiti... «Nooo, i costumi vanno per conto loro. Le valigie mi servono per gli effetti personali: i miei pelouches da cui non mi separo mai, il bollitore per cuocermi il riso, i biscotti preferiti... Come un atleta non posso permettermi di perdere la forma. Le mie sole debolezze sono i dolci. Cerco di resistere, ma per una meringa con panna potrei giocarmi il ciuffetto».