il Fatto Quotidiano, 18 febbraio 2015
Domande e risposte sui processi e la riforma delle Banche popolari. Troppi crediti e conti traballanti, però hanno perso meno delle big. Ma le nuove norme non daranno ossigeno alle imprese come dice Renzi
L’approvazione della riforma è auspicabile non perché lo impongano i regolatori o i mercati internazionali: perché lo suggerisce il buon senso”. Così il direttore generale della Banca d’Italia, Salvatore Rossi, ha riassunto ieri il pensiero di via Nazionale sulla riforma delle banche popolari, in audizione davanti alle commissioni Finanze e Attività produttive della Camera. “L’economia italiana – ha sottolineato Rossi – ha bisogno, e ne avrà ancor più nella ripresa che sta iniziando, di banche efficienti, patrimonialmente solide, a loro agio nel mercato internazionale. Banche che siano in grado di accompagnare, anzi di sollecitare, la crescita dimensionale delle piccole e medie imprese dinamiche e innovative, crescita da cui dipende molta parte del nostro futuro”. Sempre secondo Rossi “nelle grandi banche c’è il rischio di una deriva a causa di una egemonia prolungata e incontrollata di una singola figura o gruppo di potere espressione di una minoranza”. Anche per questo, c’è il rischio di “clientelismo”. Le parole del direttore generale di Bankitalia si vanno ad aggiungere a tutto quello che in queste settimane è stato detto e scritto, sull’opportunità del decreto varato dal governo di Matteo Renzi. Non sempre le analisi pro o contro la riforma sono imparziali considerando gli interessi dei vari attori coinvolti. Ecco perché abbiamo deciso di fermarci a fare una sorta di “processo” virtuale al sistema che verrà coinvolto dal provvedimento. Guardando soprattutto i numeri.
1. Dalle Popolari più credito delle Spa?
Vero. I dati di R&S Mediobanca dimostrano come il credito non sia mai stato il problema delle popolari, che anzi hanno fatto più prestiti delle altre banche, sia prima che durante la crisi. Tra il 2005 e il 2013 le Popolari hanno aumentato i prestiti di quasi il 7% all’anno (+68% cumulato), mentre le altre banche li hanno mantenuti stabili (+0,6% all’anno). In valore assoluto, dal 2005 le popolari hanno aumentato il credito di 162 miliardi, una cifra tripla a quella delle banche commerciali. La crescita dei prestiti è dovuta per oltre la metà alle popolari, nonostante queste ultime rappresentino meno di un quarto dello stock erogato complessivo. Anche loro hanno sentito la crisi, riducendo i prestiti alla clientela di 25 miliardi dal 2011. Ma anche questa flessione è stata inferiore a quella degli istituti commerciali diversi da popolari e banche di credito cooperativo.
2. Le popolari non hanno mostrato le perdite miliardarie dei grandi istituti commerciali.
Vero. Il sistema bancario italiano ha segnato nel complesso un Roe (indice di redditività) 2013 ancora negativo (-9%), avendo chiuso con una perdita aggregata pari a 21,1 miliardi (la maggior parte riconducibile ai tre maggiori gruppi). La perdita aggregata ha toccato in minima parte le popolari (circa 800 milioni). La politica di finanziamento più generosa si è però tradotta in un incremento più cospicuo dei crediti deteriorati. Nel periodo di riferimento considerato da R&S Mediobanca (2005-2013) i prestiti dubbi sono aumentati del 25% all’anno (+490% cumulato), dati superiori di circa il doppio alla media delle banche retail (+12% l’anno).
3. In media le popolari hanno tassi di copertura del credito deteriorato più bassi rispetto a quelli delle big.
Vero. Le prime 10 Popolari per attivo a fine 2013 avevano uno stock di crediti per cassa netti verso la clientela pari a 370,1 miliardi. A fronte di questo i crediti dubbi ammontavano a 47,4 miliardi. Di questi, 17,93 erano classificati alla voce sofferenze. Il rapporto sofferenze nette/crediti netti era del 4,85%, a fronte del 4,33% medio del sistema. Le sofferenze a bilancio delle dieci Popolari maggiori “valevano” il 22,31% degli 80,36 miliardi di sofferenze nette a fine 2013 registrate dall’Abi nell’intero sistema creditizio. I crediti dubbi delle Popolari maggiori pesavano in media il 12,8% del totale erogato per cassa. Si andava dal risultato migliore, pari al 7,7%, dalla Popolare di Sondrio sino al peggiore, 22,9%, scontato dalla Popolare dell’Etruria.
4. Le popolari sono uscite meglio dagli stress test che hanno bocciato due Spa (Mps e Carige).
Vero ma... nessuna delle popolari al vaglio di Francoforte, tranne Ubi, ai dati di fine 2013, ha passato il doppio test della Bce (stress test più asset quality review). Tutte e sette sono state infatti rimandate a settembre, e due hanno sforato ancora sui tempi (Bpm, almeno, cautelandosi con una dote di 713 milioni di capitale eccedente, la Vicenza con un cuscinetto finale limitato a 30 milioni ). A fine 2013 delle dieci, otto mostravano un total capital ratio sotto la media dell’insieme delle Popolari (13,3% per le 34 ricomprese nel data-base di R&S-Mediobanca), una – il Banco Popolare – esattamente in linea, mentre solo Ubi poteva vantare un parametro nettamente superiore alla media dell’intero sistema creditizio (18,9% contro il 14% delle oltre 500 banche italiane censite da R&S-Medio-banca). A partire dal 2014, considerato anche il buffer di conservazione del capitale, il requisito minimo per il total capital ratio è salito dall’8% al 10,5%. Buona parte si è messa in regola o è andata oltre, le due venete – Popolare di Vicenza e Veneto Banca – alla fine del primo semestre erano entrambe un po’ sotto al minimo, col 10,2%.
5. La riforma delle popolari è necessaria anche per far ripartire il credito alle imprese.
Falso. Per le imprese clienti delle Popolari nell’immediato non cambierà nulla. E nemmeno durante i 18 mesi in cui è consentito diluire il percorso della trasformazione in società per azioni abolendo il sistema del voto capitario. Occorrerà tempo anche per vedere le ricadute sul sistema del credito delle fusioni oggi ipotizzate. Il credito non aumenta o diminuisce significativamente per effetto di un cambio del meccanismo di voto in assemblea. Il credito aumenterà o diminuirà in funzione dell’andamento economico del Paese Italia e della voglia di tutte le banche di accollarsi nuovi rischi, dopo avere constatato che per ogni 5 euro prestati in passato, 1 euro e passa ha scarse probabilità di rientrare. Secondo Fabio Bolognini, fondatore della società di consulenza finanziaria Linker, inoltre, non basta sventolare statistiche del credito erogato, perché ora ci sono le evidenze di come sia stato erogato male e proprio agli amici soci, quelli più influenti, delle popolari. “Occorre domandarsi quanto la riforma, per ora limitata a solo dieci banche, sia pensata per scatenare processi virtuosi in Borsa e di vero efficientamento di un settore che in Europa mostra andamenti poco brillanti e una redditività insufficiente per i soci”.