Corriere della Sera, 18 febbraio 2015
«Le armi migliori al momento si chiamano diplomazia e Consiglio di sicurezza dell’Onu. Questa è la pura e semplice verità. Certo, Derna è un’enclave dei terroristi ma le altre città, invece, Tripoli e Sirte comprese, sono in mano alle diverse tribù». Parla il capo di stato maggiore della Difesa, l’ammiraglio Luigi Binelli Mantelli
Il capo di stato maggiore della Difesa, l’ammiraglio Luigi Binelli Mantelli, il prossimo 28 febbraio lascerà Palazzo Caprara nelle mani del generale Claudio Graziano. L’ultimo atto del suo mandato sarà oggi a Riad, in Arabia Saudita, dove si terrà il vertice dei capi di stato maggiore dei 26 Paesi della coalizione anti-Isis.
Un appuntamento strategico, ammiraglio, per la sicurezza mondiale.
«Sì, non c’è dubbio. All’ordine del giorno vi sarà il piano complessivo d’intervento in Iraq. E ormai è chiaro che per sconfiggere il terrorismo, bisognerà per prima cosa sradicare l’Isis da lì, dall’Iraq, l’epicentro del Califfato».
Sono giorni frenetici, questi, per voi, dopo l’escalation di violenze in Libia e la fuga precipitosa dei nostri connazionali da Tripoli. Le minacce all’Italia ci devono spaventare?
«Di certo, vi è un disegno articolato di eversione da parte di una certa frangia integralista islamica, ma è anche vero che l’Isis sa giocare bene con i media e molte di quelle bandiere nere che vediamo sventolare, anche su San Pietro, sono solo propaganda».
Ma com’è realmente la situazione in Libia?
«Beh, direi che Derna può considerarsi un’enclave dei terroristi. Le altre città, invece, Tripoli e Sirte comprese, sono in mano ancora saldamente alle diverse tribù, che in questo momento, è vero, possono pure simpatizzare, per motivi loro, di convenienza, con il Califfato, ma non di sicuro per ragioni ideologiche».
In queste ore lei è in costante contatto col ministro Roberta Pinotti. Nei giorni scorsi si era parlato addirittura di un possibile nostro intervento militare in Libia...
«E perché mai? Le armi migliori al momento si chiamano diplomazia e Consiglio di sicurezza dell’Onu. Questa è la pura e semplice verità».
Dopo due anni di mandato per lei è arrivata l’ora dei bilanci.
«Già. Tra pochi giorni tornerò ai miei gatti, alla mia barca a vela, alla mia famiglia. E questo mondo, dopo 43 anni di servizio, mi mancherà tantissimo. Certamente, però, non mi vedrete mai dottoreggiare in tv, come fanno adesso tanti ex…».
Sessantaquattro anni, bresciano di Breno, prima d’insediarsi a Palazzo Caprara, ha comandato la squadra navale della Marina militare e, prima ancora, il mitico incrociatore Garibaldi.
La Marina ce l’ha nel cuore…
«Vero. E perciò il mio più grande rammarico, in questi due anni, è di non aver visto la soluzione per i nostri due fucilieri Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, la sorte dei quali è ancora appesa alla giustizia indiana».
Una cosa, invece, per cui nutre soddisfazione?
«Direi l’obiettivo raggiunto per il 2015 dello sblocco degli stipendi dei militari, dopo anni vissuti senza progressioni economiche della carriera».
Capitolo aerei F35. L’Italia li acquisterà tutti e 90?
«Sinceramente, non è importante quantificare adesso il numero di quelli che acquisteremo, 10, 30 o 90. L’importante è avere chiara in mente una strategia: perché ciò che conta, più di tutto il resto, è che il nostro sistema di difesa si mantenga efficace attraverso il buon addestramento e la buona manutenzione delle risorse esistenti. Ecco, questi sono i due fattori davvero imprescindibili per non farsi trovare mai scoperti e impreparati».
Altri problemi vissuti nel biennio?
«Uno su tutti. Purtroppo, ho ravvisato la mancanza di una vera politica estera comune dell’Unione Europea. E quindi un deficit rischioso di raccordo operativo con la Nato, fondamentale specie in questi tempi di crisi sul fianco Est (Russia-Ucraina, ndr ) e sul fianco Sud (Libia, Siria, Iraq, ndr )».
Affrontiamo per ultima la dolorosa piaga degli sbarchi, tutti i morti al largo di Lampedusa, la fine dell’operazione Mare Nostrum.
«In questi anni gli sforzi italiani sono stati grandi per stroncare il traffico immondo degli esseri umani: 170 mila migranti strappati al mare, 300 scafisti arrestati, l’affondamento di svariate navi madre…».
Già, ma Mare Nostrum ormai appartiene al passato. Al suo posto, ora, è stato introdotto il sistema Triton. Che ne pensa?
«Rispondo così: Triton va benissimo per il controllo delle tue frontiere. Tu hai un deserto davanti e alzi un muro per non farlo passare. Ma che succede in mezzo a quel deserto? Chi vi opera realmente? Ecco, Mare Nostrum serviva non solo a salvare vite umane ma a sorvegliare quel tratto di mare, a monitorare, a capire bene i movimenti, le eventuali presenze pericolose e a fermare soprattutto i mercanti di morte. Mare Nostrum, in una parola, garantiva più sicurezza».
C’è un pensiero finale che vuole dedicare a qualcuno?
«Sì – ed è l’unica volta in cui la voce dell’ammiraglio Binelli Mantelli s’incrina – il mio pensiero lo voglio dedicare ai 54 caduti italiani in Afghanistan. Dal 28 febbraio, mi mancherà soprattutto questo: il grande cuore dei nostri militari».