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 2015  febbraio 18 Mercoledì calendario

Al Sud la mortalità infantile è il 30% più alta che al Nord. Non ci sono solo le vicende di Trapani e Catania: nel Meridione i neonati hanno meno possibilità di screening e cure

Sempre più casi di malasanità che riguardano i bambini. Sempre più il Sud nell’occhio del ciclone. E la Società Italiana di Pediatria avverte: nel Meridione la mortalità infantile è il 30% più alta che nel Nord Italia. Insomma, nascere in un ospedale di Palermo non è lo stesso che nascere in uno di Milano.
Già, sotto questo punto di vista le cronache dell’ultima settimana sono impietose. Due le bambine di pochi mesi (Rosa e Mariaviviana) morte a Napoli, nello stesso policlinico, a causa di problemi respiratori. E non solo. La procura di Catania ha aperto un’inchiesta – nove gli indagati per omicidio colposo – per la morte della piccola Nicole, la neonata che ha perso la vita su un’ambulanza, in un disperato viaggio verso Ragusa perché tutti e tre gli ospedali della sua città non avevano un posto disponibile nei loro reparti di terapia intensiva. E poi il caso di Daniel, deceduto venerdì scorso a Trapani all’età di appena due anni: i medici del pronto soccorso gli hanno dato una tachipirina, pensando che la sua fosse semplice influenza. Invece era una (sospetta) meningite: anche qui indaga la Procura.
Certo, l’elenco è di quelli terribili. Anche perché in questa lista ci sono bambini di pochi mesi, piccoli che (magari) si sarebbero potuti salvare con qualche accortezza in più, bimbi che (forse) avrebbero avuto più speranze se fossero nati pochi chilometri più a nord. «I bambini dovrebbero essere tutti uguali, ma quelli che nascono nel Meridione hanno meno possibilità: la disparità regionale in fatto di cure è un dato che ripetiamo da tempo», conferma Mario De Curtis, direttore dell’Unità Terapia intensiva neonatale all’ospedale Umberto I della capitale. E aggiunge: «Quello che è successo a Catania potrebbe tranquillamente succedere a Roma: oggi nel Lazio mancano 20 posti di terapia intensiva neonatale a causa di un rimpallo di responsabilità tra la Regione e i direttori generali delle aziende ospedaliere».
Appunto. E dire che il tasso di mortalità infantile nel Belpaese è sensibilmente inferiore alla media europea ed è quasi la metà rispetto a quello statunitense. Ma da Roma in giù c’è poco da esser contenti. Se a Firenze ogni bambino che nasce viene sottoposto a uno «screening neonatale metabolico allargato» (un test, cioè, che permette di diagnosticare qualcosa come oltre 40 malattie rare), nelle regioni meridionali lo stesso esame viene fatto – per obbligo di legge – solo per tre patologie, ossia ipotiroidismo congenito, fibrosi cistica e fenilchetonuria. Tradotto, non ci vuole una laurea in medicina per capirlo, significa che i bambini della Toscana vantano una prevenzione circa 40 volte più approfondita. Non è poco, anzi. Nel Lazio e in Sicilia non va meglio: qui non tutti gli ospedali consentono lo screening allargato e la situazione varia da istituto a istituto. Un terno al lotto.
Altro capitolo dolente quello dei vaccini. Nel 2014 solamente in Puglia, in Basilicata, nel Veneto e in Toscana i più piccoli hanno potuto beneficiare (gratuitamente, s’intende) di quello contro il meningococco B, il virus che può portare la meningite. Nelle altre zone d’Italia niente, a eccezione di qualche Asl che ha offerto il servizio ai soggetti a rischio. Non tutte hanno potuto però (problemi di budget, come sempre): così ci si è trovati col paradosso di avere trattamenti diversi anche all’interno della stessa Regione. Ancora. Nel nostro Paese 15mila minori hanno bisogno di cure palliative, cioè di assistenza totale perché colpiti da una malattia terminale. La legge 38 del 2010 obbliga le Regioni a dotarsi di una rete territoriale per garantire questi trattamenti, ma solamente cinque, tra cui il Veneto, ce l’hanno.
Così, complici la mancanza di organico e le ristrettezze economiche, per alcuni di quei bambini malati la soluzione è trasferirsi. Come hanno fatto (oramai parecchi anni fa) i genitori del piccolo Lorenzo, due mesi e un tumore all’encefalo. In Puglia, dov’era nato, non aveva speranze: fu proprio il primario dell’ospedale di Taranto a consigliare curatevi-a-Firenze-andate-via. E ha regalato al bimbo cinque anni di vita.