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 2015  febbraio 18 Mercoledì calendario

L’uscita della Grecia dall’euro sarebbe un salto nel vuoto o no? Scampoli di un’accesa discussione tra esperti

Grexit? «Non sarebbe una tragedia. Rispetto a 4 anni fa oggi disponiamo di nuovi strumenti e meccanismi di governance dell’euro. E poi, fuori dalla moneta unica, farebbe molto più freddo per chiunque». Parola di Fernando Fernandez, spagnolo, professore di economia, ex-capo economista e negoziatore dell’Fmi durante la crisi argentina.
«No, per la Grecia sarebbe di sicuro una tragedia ma forse non per gli altri. Non credo che la sua uscita incoraggerebbe quella di altri paesi, perché i mercati finanziari si sono mossi solo sul fronte ellenico» ribatte Guntram Wolff, tedesco, direttore a Bruxelles della think tank economica Bruegel. Molto più cauto il suo predecessore, Jean Pisani-Ferry, oggi commissario generale del Governo francese alla pianificazione politica: «Purtroppo per ragioni politiche sono tornati tempi difficili per l’euro. A patto che non abbiano valenza costituzionale, le regole vanno testate e magari ritoccate a confronto con la realtà. Credo che ci sia spazio per negoziare con Atene ma non mi sembra che finora l’Europa abbia usato bene il suo spazio di manovra».
Scampoli di un’accesa discussione tra esperti, ieri a Bruxelles, dopo il secondo disastroso incontro dei ministri dell’Eurogruppo in meno di una settimana. E conclusosi con l’ultimatum ad Atene: decida entro dopodomani se vuole restare o no nell’euro, se accetta o no la proroga di sei mesi del programma di assistenza europeo e il rispetto delle condizioni relative. Si sa però che, in questi termini, la proposta è inaccettabile per il Governo Tsipras. Il quale, per fare marcia indietro, ha bisogno di poter salvare la faccia.
E così per molti ministri comincia a diventare grande la tentazione di imboccare la scorciatoia Grexit. Dando una lezione esemplare alla Grecia per scoraggiare sul nascere tutti i suoi possibili emuli. La sfrontatezza dell’interlocutore non aiuta le sue buone ragioni (che ci sono). Gli ultimatum però in genere si lanciano per rompere, non per aggiustare il passo negoziale.
Il muro contro muro, l’ottusità dello scontro tra le opposte rigidità in campo rischia a questo punto di provocare il corto circuito. O forse l’incidente voluto, anche se naturalmente tutti, senza eccezioni, si affannano a dire il contrario. Di fatto per Atene come per l’Eurogruppo le vie di una possibile ritirata si stanno restringendo a vista d’occhio.
«Non è immaginabile che Angela Merkel e il suo ministro delle Finanze, Wolfgang Schäuble, che hanno letteralmente massacrato con le richieste di rigore il Governo di Antonis Samaras, un popolare come loro, facciano ora grandi concessioni a un nemico politico, al Governo di estrema sinistra di Tsipras. In questo modo farebbero il gioco dei partiti anti-sistema, di Podemos in Spagna che incalza il premier popolare Mariano Rajoy che andrà alle elezioni a fine anno. Sarebbe un suicidio politico per il Ppe», sottolineava ieri un attento osservatore europeo.
Si può aggiungere che dopo la bruciante sconfitta ad Amburgo della Cdu-Csu e l’ingresso dell’AfD, il partito tedesco anti-euro, per la prima volta in un parlamento regionale della vecchia Germania Ovest, i margini negoziali a Berlino si sono ulteriormente assottigliati. Lo stesso vale per il premier greco, che ha indubbiamente suscitato troppe aspettative nel paese ma ora, per innescare la retromarcia, ha bisogno di concessioni almeno semantiche, di un’ambiguità negoziale costruttiva. Che, in definitiva, converrebbe a tutti.
Atene non è mai stata un partner morbido. Quando a Londra regnava Margaret Thatcher, la Grecia socialista di Andreas Papandreu era di sicuro un negoziatore altrettanto coriaceo. Abbandonarla oggi a se stessa può apparire una scelta razionale e semplificatoria, il modo di chiudere una falla costosa, di estirpare una spina nel fianco del sistema euro. A patto che la Grecia oggi sia scaricabile senza problemi.
Per l’irreversibilità dell’euro il vulnus sarebbe evidente: quanto meno bisognerebbe stabilire un codice per regolamentare senza scosse eventuali nuovi divorzi futuri. Come prevederli? E che fare allora, per esempio, dei depositi nelle filiali delle banche stabilite in possibili Paesi “divorziandi”, con prossimo ritorno alla moneta nazionale? Rinazionalizzazione e frammentazione del mercato unico europeo in via cautelativa diventerebbero inevitabili.
A oggi l’uscita dall’euro comporterebbe quella dall’Unione: allora fuori la Grecia e domani dentro Macedonia, Serbia e un giorno anche la Turchia? Scoprirsi sul fianco orientale del Mediterraneo proprio quando ribolle il grande arco della crisi dal Medio Oriente al Nordafrica, terrorismo islamico e immigrazione sono senza controllo? Davvero Atene è uno Stato membro pleonastico?
No. Non fosse che per il suo peso geo-strategico e culturale. Tsipras però non può illudersi di vincere andando da solo all’arrembaggio per smontare il sistema-Europa. Può sperare in limitate concessioni solo negoziando con molto realismo. E garantendo la credibilità dei suoi impegni. Soltanto così eviterà all’Europa di prendere in considerazione il salto nel buio di Grexit. E di scoprire a sue spese se sarà una tragedia solo greca. O collettiva.