la Repubblica, 18 febbraio 2015
Chi “ha suicidato” il procuratore che voleva arrestare Cristina Kirchner? L’intrigante morte di Nisman che divide l’Argentina. Mezza nazione non ci sta e scende in piazza per rendere omaggio all’uomo che avrebbe potuto sconfiggere il potere. L’altra metà lo considera solo un esaltato
È l’enigma perfetto quello che sta tormentando l’Argentina. Un giallo con almeno tre, o forse quattro, finali possibili. Tutti diversi ma tutti allo stesso modo, per qualche ragione, credibili. A un mese dal ritrovamento del cadavere di Alberto Nisman – il procuratore argentino titolare della causa Amia, l’associazione ebraica di Buenos Aires colpita nel 1994 da un attentato che provocò 85 vittime – la sua morte rimane un mistero che sembra lontano dal dipanarsi. Quattro giorni prima di morire, il 18 gennaio scorso, a causa di un colpo di pistola alla testa, il procuratore Nisman aveva presentato una denuncia – rilanciata anche in una lunga intervista tv nell’ora di massimo ascolto – contro la presidente Cristina Kirchner, il ministro degli esteri Hector Timerman e altri due dirigenti del partito al governo. L’accusa: aver partecipato a insabbiare le presunte responsabilità dell’Iran nella strage del ‘94 per, in cambio, riprendere le relazioni commerciali con Teheran. Comprare petrolio sotto costo e vendere grano. Le prove: una serie d’intercettazioni telefoniche, nelle quali un esponente peronista vicino alla Presidente trattava con un responsabile dell’ambasciata dell’Iran a Buenos Aires, intorno a un memorandum d’intesa che avrebbe dovuto scagionare cinque pezzi grossi del regime di Teheran, inseguiti da anni da un ordine di cattura internazionale dell’Interpol. Prove, fornite al magistrato da un superboss dei servizi segreti argentini, Antonio “Jaime” Stiuso, licenziato mesi fa dalla Kirchner, che hanno comunque convinto il suo successore, Gerardo Pollicita, a continuare le indagini inviando a Cristina un avviso di garanzia.Un contesto esplosivo, aggravato dall’esasperazione sociale per la crisi e dalla lunga e feroce battaglia fra Cristina e l’opposizione, nel quale la cosa più improbabile da credere è che Nisman possa essersi suicidato nel bagno del suo appartamento con una piccola pistola Berta calibro 22. Come una arancia tagliata in due, metà dell’Argentina sospetta che sia stato ucciso da agenti della Casa Rosada, sede della presidenza; l’altra metà che si tratti di un complotto preparato da servizi segreti deviati per vendicarsi di Cristina. Metà ne ha già fatto un eroe e marcia in suo nome, oggi è prevista la manifestazione convocata dai giudici alla quale hanno aderito tutti i leader dell’opposizione e la Chiesa; l’altra metà lo considera un esaltato. In mezzo una sequenza di congetture che disegnano i viali di Buenos Aires come il luogo di una zuffa internazionale top secret fra agenti della Cia, ai quali Nisman secondo i cable di WikiLeaks, era legato, del Mossad israeliano e dell’Iran che contro il procuratore, a suo tempo, aveva emesso addirittura una fatwa.Ogni dettaglio viene letto nella luce dell’intrigo: sulla mano destra di Nisman non ci sono tracce di polvere da sparo, ma la traiettoria del proiettile, dal basso verso l’alto, appena sopra all’orecchio, sarebbe conforme all’ipotesi del suicidio. Ma il resto no. Perché avrebbe dovuto farlo? Senza lasciare neppure un messaggio per la sua famiglia? L’ex moglie e le due figlie adolescenti? Uno degli aspetti più sconcertanti della vicenda è il comportamento delle guardie del corpo del procuratore. Ne aveva assegnate una decina, ma nessuno rimane a vigilare il suo appartamento nella torre Le Parc di Puerto Madero nella capitale argentina nella notte fra sabato e domenica mentre Nisman prepara gli appunti per l’udienza dove avrebbe dovuto spiegare le sue accuse, lunedì 19 gennaio, davanti al Parlamento. I bodyguard tornano la mattina di domenica verso le undici. Ma soltanto alle cinque del pomeriggio si preoccupano di avere notizie del procuratore e iniziano a cercarlo. Se qualcuno lo ha ucciso ha anche avuto tutto il tempo per allestire la messinscena. Altri dettagli rafforzano i sospetti. Prima del giudice istruttore e della scientifica sulla scena della morte di Nisman arriva un alto funzionario del ministero degli Interni, mentre Damian Patcher, giornalista del Buenos Ai res Herald, che per primo grazie a una fonte ha rivelato su Twitter la morte del procuratore, fugge prima a Montevideo e poi in Israele: «La mia vita era in pericolo», dice al suo giornale.Perlomeno bizzarro, nelle prime ore del caso, è anche l’atteggiamento della presidenta Kirchner che trascorre il tempo su Facebook a inquinare il contesto. Prima si dice assolutamente certa del suicidio di Nisman, poi accusa Diego Lagomarsino, un consulente informatico, altro personaggio della storia, che ha prestato al procuratore la pistola con la quale si sarebbe ucciso perché, gli disse, si sentiva minacciato. Infine, Cristina espone sempre su Facebook, la teoria del complotto contro di lei. Mentre Jorge Capitanich, capo di gabinetto della presidenza, strappa in diretta una copia del Clarin, giornale che annuncia a tutta pagina il ritrovamento, in un secchio della spazzatura nell’appartamento di Nisman, del verbale nel quale sollecitava un mandato d’arresto per la presidenta. Quel che è certo è che Nisman trascorse tutto il pomeriggio del sabato 17 gennaio nel suo studio a scrivere: lo testimonia una foto che inviò, con WhatsApp, al vicepresidente della Daia, l’organizzazione delle associazioni israelitiche argentine. E che parlò, almeno tre volte, con Jaime Stiuso, la spia del Side, che lo aveva assistito nelle sue indagini. È proprio dall’interrogatorio di Stiuso, previsto nei prossimi giorni, che il giudice istruttore Vivianne Fein spera di trovare un barlume di luce in questo porto delle nebbie. Ma in pochi ci sperano. L’ex moglie di Nisman, Sandra Arroyo Salgado, anche lei magistrato, e gli amici del procuratore sono convinti che non possa essersi suicidato. La scena della morte presenta molti aspetti oscuri. A cominciare dalle telecamere di sorveglianza del palazzo che erano fuori uso per finire al colpo fatale esploso a due o tre centimetri dalla testa, circostanza strana – affermano – per un suicida che di solito appoggia l’arma sul cranio.Lo storico Uki Goñi ha ricordato in un articolo sul New York Times come il «suicidio politico» sia uno dei grandi misteri della storia argentina. Fin dai tempi di Evita e Perón. Di casi misteriosi ce ne sono diversi. Da un fratello di Evita, Juan Duarte, che aveva aiutato i nazisti a rifugiarsi in Argentina a Hector Febre, un ufficiale trovato morto avvelenato nella sua cella mentre si accingeva a testimoniare contro i suoi colleghi sui crimini commessi durante l’ultima dittatura. Così Nisman sembra solo l’ennesimo “suicidio politico” che toglie di mezzo un giudice scomodo e, in qualche modo, cancella vent’anni di indagini sull’attentato all’associazione ebraica di Buenos Aires. Furono gli iraniani attraverso gli Hezbollah? No, i siriani? Nemmeno, fu un gruppo di terrorismo locale. Chissà. Non lo sapremo mai. Come forse non si saprà mai chi “ha suicidato” il procuratore che voleva arrestare Cristina Kirchner.