Il Messaggero, 18 febbraio 2015
Settantamila uomini da Ue e Africa: ecco la coalizione internazionale che potrebbe intervenire contro l’Isis in Libia. Per l’Italia un ruolo di guida. Parigi e Londra più esperte nella guerra nel deserto
Settantamila uomini per una coalizione euro-mediorientale e africana. Obiettivo: stroncare l’avanzata del Califfato nero in Libia. Ma come e da chi sarà composta l’alleanza? Anzitutto dall’Egitto, il paese dell’area più direttamente coinvolto, col supporto della Giordania. Per l’Europa, invece, ruolo guida all’Italia, vista la conoscenza storica del paese e l’esposizione mediterranea, oltre al naturale utilizzo delle nostre basi aeree per il decollo dei raid. Poi Francia e Gran Bretagna, forti di un’esperienza maturata nei secoli e consolidata dall’impiego di truppe specializzate nel combattere in un ambiente straordinario: i “desert rats” (topi del deserto) inglesi, e la legione straniera francese. Per l’Italia, i paracadutisti della “Folgore” e i reparti speciali, dai carabinieri paracadutisti del “Tuscania” agli incursori di terra “Col Moschin” e di mare, Comsubin.
NODO RIFORNIMENTI
Poi la Germania e Malta, gli Emirati arabi uniti già attivi in Libia al fianco degli egiziani, e gli Stati Uniti per la sorveglianza e i rifornimenti. «Quest’ultimo è un problema da non sottovalutare», sottolinea il generale Luigi Cucchi, già consigliere militare di Prodi e D’Alema, capo del Dis e rappresentante militare italiano alla Nato. «Otto-dieci giorni dopo l’inizio della guerra a Gheddafi nel 2011, ci trovammo a corto di munizioni». Inevitabile il blocco navale, con lo schieramento delle portaerei italiana “Garibaldi” e francese “Charles De Gaulle”. Gli europei hanno una capacità di fuoco imponente, «efficace solo se ben guidata, e poi forze speciali dentro unità che avanzano sul terreno, ma oltre a occupare – avverte Cucchi – bisogna conservare». Considerati gli interventi della Nato in paesi grandi più o meno come la Libia, il dispiegamento sul terreno non potrà essere inferiore a 40-100mila uomini. «Una cifra ragionevole sarebbe 60-70mila. Quando si trattò di fare la spedizione in Libia nel 1911, Giolitti chiamò il ministro della guerra e gli chiese in piemontese quanti fossero”quei marocchini laggiù”, e siccome erano 100mila, e 100mila i nostri, disse”facciamo 200mila e stiamo tranquilli”».
LE TRIBÙ
Fondamentale sarebbe anche un’alleanza con le minoranze che controllano le vie di rifornimento nel deserto: i Tuareg e i Toubou del Tchad, a sud. «Bisogna fare come Gheddafi, che inquadrò i Toubou nella sua legione araba, li fece restare signori della spada, e ne mantenne le famiglie». I britannici hanno truppe fortemente specializzate in operazioni di tipo “coloniale”, come pure i francesi reduci da un’operazione condotta con successo nel Sahel per arginare i jihadisti del Mali. Quanto all’Italia, le nostre forze speciali sono tra le migliori del mondo, anche per il rapporto che riescono a instaurare con la popolazione (e i libici, nonostante i ricordi dell’epoca coloniale e le efferatezze del generale Graziani, continuano ad avere con noi un buon rapporto). Soprattutto, l’Italia ha una conoscenza capillare del territorio e del puzzle tribale, e una rete d’intelligence tuttora efficiente alla quale si rivolgono spesso i servizi alleati. Le nostre armi di punta sono i cacciabombardieri Tornado, utilissimi pure nella ricognizione, l’Eurofighter, il più avanzato aereo da combattimento europeo, i Predator a pilotaggio remoto come quello che ha scortato il rientro per nave dei cento italiani evacuati nei giorni scorsi, infine gli elicotteri dell’esercito e della Marina, i carri armati Ariete e i blindati Lince e Freccia.
Insuperati i piloti dei nostri C-130, in grado di atterrare nelle peggiori condizioni anche su piste di sale. Altra specificità italiana, le unità del Genio in particolare per lo sminamento (si sono distinte fin dalla prima guerra del Golfo) e nella ricostruzione a tempi di record di ponti, scuole, acquedotti, moschee. Il coinvolgimento della Nato in quanto tale, invece, secondo il generale Cucchi sarebbe «controproducente, perché la spedizione non dev’essere percepita come una crociata».