la Repubblica, 18 febbraio 2015
Il Califfato fa paura anche se le probabilità che l’esercito nero abbeveri i suoi cammelli in piazza San Pietro sono pochine. Ma gran parte dello spregio che questi invasati nutrono nei confronti degli europei deriva dal nostro status di imbelli. Meglio dunque non tremare come foglie
Il califfato fa paura. Ma se non la si governa, quella paura, se ne centuplica l’effetto. Se basta un video o un tweet o un comizietto dove un incappucciato dice “prenderemo Roma” per scatenare il panico – specie il panico mediatico – allora fare il jihadista diventa il mestiere più facile del mondo. Quante possibilità concrete abbia l’esercito nero di abbeverare i cammelli in piazza San Pietro (remake della psicosi da Guerra Fredda: erano i cavalli dei cosacchi, all’epoca, ad abbeverarsi in Vaticano, magari alle acquasantiere) possono saperlo, forse, gli esperti militari. Ma direi, a occhio e croce, pochine. Gran parte dello spregio che questi invasati nutrono nei confronti degli europei deriva dal nostro status (in effetti privilegiato) di imbelli. Meglio dunque non tremare come foglie ad ogni proclama apocalittico e ad ogni video sadico. L’orrore, in quei Paesi, è di casa, è scenario quotidiano, e poiché anche noi ricchi del mondo, prima col colonialismo e poi con la coglioneria, a suscitare quell’orrore abbiamo dato il nostro valido contributo, cerchiamo almeno di affrontarlo con i nervi saldi e lo sguardo chiaro. La morte cruenta, gli attentati terroristici, il morso della guerra nel cuore delle civiltà non sono stati inventati dal Califfo. Non concediamogli, dunque, la possibilità di vantarsene.