Il Sole 24 Ore , 17 febbraio 2015
L’Italia e il petrolio libico. Prima della caduta di Gheddafi acquistavamo il 25% dell’import totale, oggi siamo scesi all’8%
L’unica, magra consolazione è che, in questo periodo, l’offerta di petrolio al mondo è ancora abbondante e i prezzi relativamente bassi. Ma il caos in cui è precipitato un esportatore importante come la Libia è un problema non da poco.
Soprattutto per i suoi clienti tradizionali – in testa l’Italia – e per le major energetiche che vi lavorano. Dopo l’attentato di sabato all’oleodotto che collega uno dei giacimenti più importanti della Libia, l’allarme della compagnia petrolifera di stato libica (Noc) non va preso alla leggera: «Se questi incidenti continuano la Noc sarà costretta suo malgrado a fermare tutte le operazioni produttive in tutti i giacimenti della Libia per salvare le vite umane (dei lavoratori, Ndr)».
L’ex regno di Muammar Gheddafi è sempre stato il nostro principale fornitore di greggio, con punte del 25% del nostro import complessivo nel periodo precedente la rivolta del 2011. Finita la “guerra ufficiale”con la morte di Gheddafi, il 20 ottobre 2011, l’industria energetica del Paese aveva sorpreso il mondo per le sue capacità di ripresa. Lo spartiacque è il giugno del 2014, quando si era arrivati a quasi 1,4 milioni di barili al giorno (mbg) e le forniture della Libia erano risalite al 21% del nostro import. Poi il caos. Scioperi a singhiozzo, conflitti tra milizie che controllano i pozzi, politici riottosi. E la produzione che precipita a meno di 200mila barili/giorno nel settembre dello stesso anno. Da allora l’estrazione è proceduta a singhiozzo, con punte incoraggianti, fino a 800mila bg, alternate, più spesso, a periodi bui (250mila bg).
Troppo poco per un Paese che di petrolio vive (rappresenta il 95% dell’export e la quasi totalità delle entrate governative). Solo nel 2014dalla Libia è arrivato meno dell’8% delle nostro import di greggio. L’Azerbaijan è così tornato a essere il nostro primo fornitore Ma reperire un petrolio pregiato come quello libico sul mercato spot (anche se di questi tempi di domanda debole è meno caro) può essere più costoso, senza contare il costo di trasporto più alto dovuto alla distanza tra Baku e Roma.
Ma ora sta accadendo di peggio. I frequenti attacchi alle infrastrutture petrolifere (oleodotti, giacimenti, e terminali) stanno mettendo in ginocchio la produzione nazionale. L’attentato di sabato alla pipeline che collega il giacimento di Sariri ad Hariga, in Cirenaica, ha fatto precipitare la produzione a 180mila barili/giorno. E pensare che prima della rivolta dai rubinetti della Libia uscivano 1,6 milioni.
La presa di Sirte da parte dell’Isis, l’attacco kamikaze contro l’Hotel Corinthia di Tripoli (il 27 gennaio), sempre rivendicato dall’Isis, e quello 16 giorni fa contro il giacimento di Mabrouk, gestito dalla Total e dalla Noc, hanno messo in luce un’amara realtà: in Libia nessun luogo è sicuro.
Le major straniere hanno alzato le misure di sicurezza, spostando quasi tutti gli espatriati sugli impianti in mare. Finora le operazioni dell’Eni, il più grande e storico operatore straniero in Libia, non hanno risentito più di tanto del caos libico. La produzione è vicina al suo potenziale estrattivo, che è 280mila barili/giorno di olio equivalente (gas e petrolio) «La presenza di espatriati Eni in Libia è ridotta e limitata ad alcuni siti operativi offshore, garantendo in collaborazione con le risorse locali lo svolgimento regolare delle attività produttive nell’ambito dei massimi standard di sicurezza. Eni continua a monitorare con estrema attenzione l’evolversi della situazione», ha precisato la major italiana. Fortunatamente le attività di Eni in Libia, che opera in consorzio con la Noc, sono concentrate prevalentemente nell’area occidentale, zona meno turbolenta. Al Sole 24 Ore risulta che nei giacimenti offshore Bahr Essalam, che fornisce gas all’impianto di Mellitah, il quale lo convoglia al gasdotto Greenstream verso l’Italia, e Bouri (petrolio), e nei giacimenti onshore di Wafa (gas e petrolio) ed Elephant (petrolio) le operazioni procedono. Solo il campo di Abu Attifel, in Cirenaica, è fermo da un anno e mezzo.
Ma la situazione potrebbe cambiare. Da un momento all’altro. E comunque, al di là dell’Eni, il settore energetico libico è troppo importante per lasciarlo in balia delle milizie. Per tutti. Ma soprattutto per i due Governi rivali che si contendono la sovranità del Paese e si fronteggiano militarmente. Senza greggio non potranno finanziare il budget, che include i pagamenti delle milizie e di un esercito di funzionari pubblici. Per colmare il deficit, la Banca centrale è venuta loro incontro attingendo dalle grandi riserve valutarie. Erano 133 miliardi di dollari nel giugno 2013, oggi sarebbero meno di 100. Si stanno assottigliando troppo velocemente.