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 2015  febbraio 17 Martedì calendario

Quando gli europei usavano lo stesso vocabolario. Uno studio rivela che «le origini di una buona parte delle lingue parlate in Europa sono da collocare tra Ucraina e Russia»

Lo studio non è stato ancora pubblicato. Ma le sue conclusioni, anticipate online, hanno risollevato un dibattito caro ai linguisti: da dove vengono gli idiomi che oggi si parlano in tutta Europa? Se l’origine comune è infatti tutt’altro che da escludere, resta da capire quale sia stato l’epicentro comune da cui ha avuto origine il nostro lessico. Secondo le ultime evidenze, le radici della linguistica indoeuropea andrebbero ricercate nei terreni freddi dell’ex impero sovietico, dove un avo del mix di vocaboli attualmente in uso sarebbe nato almeno 6mila anni fa, per poi diffondersi nel Vecchio Continente. L’ipotesi irrompe dopo un ventennio in cui diversi studi avevano riconosciuto il primato all’attuale Turchia, in ragione delle origini delle prime forme di domesticazione: animale e vegetale.
Un unico antenato
Dall’inglese al greco, dal latino all’irlandese antico, per giungere al tocario: parlato fino all’anno mille in Cina. Più di 400 lingue, dialetti compresi, derivano da un unico antenato. Su questo, ormai da più 300 anni, non ci sono dubbi: troppe le affinità lessicali riscontrate tra espressioni soltanto all’apparenza distanti per non convincersi della stretta «parentela». Ciò che rimane poco chiaro è la localizzazione delle origini di questo embrione linguistico. Oggi, ad anticipare il rilancio delle quotazioni dell’ex Unione Sovietica, sono due ricerche reperibili su BioRXiv, piattaforma creata per favorire la conoscenza dei risultati degli studi scientifici ancor prima che siano pubblicati. In quella che diversi millenni fa era una terra esposta alle incursioni delle popolazioni nomadi, sarebbe germogliata la glottologia poi diffusasi lungo le rotte delle migrazioni dell’essere umano.
Favorevoli e contrari
La conclusione era già stata anticipata 30 anni fa, prima che nel 1987 l’archeologo britannico Colin Renfrew rilanciasse il primato dell’Anatolia. Da quel momento in poi la comunità scientifica si è divisa in due fazioni: i favorevoli e i contrari alla leadership della Mesopotamia. Sono arrivate prove a sostegno delle tesi di Renfrew ed evidenze avverse, portate da chi di fronte alle sue conclusioni era parso scettico fin dal primo momento.
Utilizzando le informazioni genetiche tratte da 69 uomini europei e asiatici vissuti nel pieno del neolitico, i ricercatori guidati dal paleobiologo australiano Wolfgang Haak (Università di Adelaide) e dai genetisti statunitensi Dadiv Reiche e Iosif Lazarids (Harvard Medical School di Boston) hanno determinato gli spostamenti dei nostri antenati. Dal confronto dei polimorfismi «sospettati» di indicare i percorsi compiuti delle comunità prese in esame, è emerso che in quei secoli le popolazioni occidentali e orientali si sono mosse lungo direttrici opposte, per incrociarsi all’incirca 4500 anni fa nella steppa. «Le origini di una buona parte delle lingue parlate in Europa sono da collocare tra Ucraina e Russia», sostengono i ricercatori.
Le conclusioni
Lo studio ha considerato i movimenti di artigiani appartenenti alle culture di Jamna (proveniente dalle attuali Ucraina e Kazakistan) e della ceramica cordata (mossisi dalle regioni settentrionali della Germania). Valutati i loro itinerari, gli studiosi hanno concluso che «l’agricoltura non è stata l’unica causa delle migrazioni avvenute tra Europa e Asia». La diffusione delle coltivazioni dalla Mezzaluna Fertile risale infatti ad almeno ottomila anni fa: troppo indietro nel tempo per collegarla alla nascita di una lingua comune. Più recente, invece, l’incrocio tra i due orizzonti archeologici: collocabile nel corso della tarda età della pietra. È dalla loro commistione che ha iniziato a propagarsi il «bisnonno» delle nostre lingue attuali.