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 2015  febbraio 17 Martedì calendario

Il rapporto tra l’autore e il suo editore in un saggio di Giorgio Pinotti. Perché lo scrittore ha necessità di un partner capace di ascoltarlo e di farsi ascoltare su questioni testuali, siano esse strutturali o minime. Ma non va sempre così

Ci sono libri-miniera. Uno di questi è Editori e filologi, appena uscito da Bulzoni, a cura di Paola Italia e Giorgio Pinotti. Un libro che mette insieme le esperienze di numerosi addetti ai lavori (editoriali e accademici) e che contiene una quantità enorme di notizie, aneddoti e riflessioni a proposito del lavoro sul testo letterario. Con un doppio invito, benissimo illustrato da Paola Italia.
   Primo, che il mestiere degli editori sia più author oriented, che esca dall’ossessione di inseguire le richieste del presunto lettore e dunque del marketing (con tutte le delusioni economiche che spesso ne derivano): insomma, mettere al centro la cura del testo. Secondo, che il mestiere dei filologi sia invece reader oriented, cioè più preoccupato delle esigenze di un lettore non necessariamente specialista nel racconto della storia dell’opera e della sua ricostruzione critica.    
Una convergenza virtuosa. Soffermandosi sul rapporto, spesso discusso, tra l’autore e il suo editore o editor, Giorgio Pinotti ricostruisce un caso interessante che mette a fuoco la necessità, per lo scrittore, di avere a che fare con un partner capace di ascoltarlo e di farsi ascoltare su questioni testuali, siano esse strutturali o minime (la punteggiatura o altro). È il caso dello scrittore francese Jean Echenoz e del suo editore Jerôme Lindon, gran patron della prestigiosa casa Minuit. È il 1992 quando Echenoz consegna il suo quinto romanzo, Nous trois. Lindon gli dice: «Per me il libro va bene anche così, ma c’è qualcosa nel finale…». Echenoz torna a casa costernato e riflette sul finale. «In effetti non funziona». Modificando il finale scopre di dover fare cambiamenti retroattivi che migliorano nettamente il libro. «Avere anche un solo lettore come te…», scrisse Sciascia a Calvino nel 1971. Non sempre va così: Livio Garzanti costrinse Pasolini a lavorare di scure autocensoria su Ragazzi di vita, quando si accorse che il romanzo era «impubblicabile». «Una vera disperazione», disse Pasolini. Poi però, postilla giustamente Pinotti, lo stesso Garzanti si sarebbe guadagnato i complimenti di Fenoglio per Primavera di bellezza : «Ella praticamente mi obbligò a rifare il libro. Il risultato ha lampantemente dimostrato che Lei aveva visto infinitamente più giusto di me».    Finché l’editore si propone allo scrittore come «lettore partecipe» (la definizione è di Alberto Rollo), il suo ruolo sarà irrinunciabile. Altrimenti, vada per il self-publishing. Lampantemente.