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 2015  febbraio 17 Martedì calendario

A due giorni dal cessate il fuoco nessuno crede alla pace. Kiev parla di 120 violazioni dei filorussi nelle ultime ore e questi ultimi hanno portato i giornalisti all’aeroporto di Donetsk per dimostrare che la colpa è degli altri

«Non credo sia possibile portare a compimento gli accordi di pace, per il semplice fatto che il governo di Kiev non li rispetterà mai. Se lo facesse, dovrebbe cambiare a tal punto da non essere più se stesso. Impensabile! Dobbiamo restare pronti al peggio», afferma lapidario Andrey Purgin, presidente del parlamento dell’autoproclamata Repubblica popolare di Donetsk e a tutti gli effetti numero due della dirigenza politica dei ribelli filorussi. La foto di Putin troneggia sui muri del suo ufficio, un’immaginetta di Stalin a forma di cuore è appoggiata sulla libreria. 
Sono trascorsi due giorni dall’inizio del cessate il fuoco mediato dall’Unione Europea e l’incontro di ieri pomeriggio con questo corpulento ex uomo d’affari di 46 anni passato alle file degli alleati di Mosca aiuta a comprendere i motivi profondi della sua fragilità. 
Sono crepe che, viste da vicino, diventano baratri molto più gravi delle nuove accuse reciproche tra i due fronti su chi abbia sparato per primo. Kiev parla di 120 violazioni dei filorussi nelle ultime ore. Questi ultimi hanno portato i giornalisti all’aeroporto di Donetsk per dimostrare che la colpa è degli altri. I contrasti vanno oltre le polemiche su chi tiri cannonate attorno all’enclave contesa di Debaltsevo (ieri sarebbero morti 5 ucraini anche nei pressi della cittadina costiera di Mariupol), o addirittura riguardanti i ritardi sull’inizio del ritiro delle armi pesanti dalla linea del fronte. Su questi temi Angela Merkel ieri è stata lapidaria: «La situazione è fragile. Ma non potevano aspettarci molto di diverso». Le ha fatto eco la responsabile della politica estera europea, Federica Mogherini: «Sarà pure fragile, però resta l’unica speranza di soluzione». 
Purgin va diritto al cuore del problema, così come visto dai filo-russi. «L’Ucraina è storicamente parte dell’Impero Russo. Lo era al tempo degli Zar, lo fu nell’era sovietica e non vedo proprio il motivo per cui non dovrebbe esserlo in quella di Putin», dice piatto, mostrando l’ultima edizione del quotidiano di Donetsk, in cui è pubblicata una cartina della regione così come veniva disegnata nel periodo finale della Prima guerra mondiale. Il suo indice indugia sui contorni di un’Ucraina facente capo a Kiev ridotta ai minimi termini rispetto a quella attuale, mentre le province di Donetsk e Lugansk, oggi in mano ai secessionisti, sono almeno quintuplicate e si allungano a comprendere la regione di Odessa sino al confine con la Romania. «Ovvio che il nostro sogno sarebbe annetterci alla Russia. Ma una soluzione in stile Crimea mi sembra prematura. La separazione totale da Kiev arriverà dopo». 
Pergin all’Europa riconosce il merito di essersi impegnata nella trattativa per calmare i combattimenti. Però resta un mediatore «interessato» e «colpevole». Chiarisce: «Gli europei hanno la responsabilità, sin dal crollo dell’Unione Sovietica oltre due decadi fa, di lavorare per il distacco dell’Ucraina dall’area economica di Mosca, senza peraltro averci dato un’alternativa concreta. Sotto il vostro ombrello sono cresciuti gli oligarchi, la corruzione e tutte le malattie che stanno azzoppando Kiev. La nostra crisi economica è figlia delle vostre scelte egoiste e cieche». Quanto alle questioni contingenti al cessate al fuoco, le sue parole danno poche speranze: «Per ora non ritireremo alcuna arma pesante dall’area dei combattimenti. Non sino a quando i soldati di Kiev continueranno a spararci con le loro artiglierie. In ogni caso, secondo gli accordi, abbiamo ancora oltre due settimane di tempo per farlo». Rispetto a Debaltsevo parla di vittoria totale: «Ci sono tra 6.000 e 8.000 soldati ucraini intrappolati. Usciranno solo se si arrenderanno. Gli osservatori europei dell’Osce non possono ancora andare a trovarli, sarebbe troppo pericoloso. I combattimenti continuano». E la clausola fondamentale per cui Kiev entro la fine del 2015 dovrebbe riprendere il controllo dei 400 chilometri di confine tra Ucraina orientale e Russia? «Impossibile. Kiev non accetterà mai i compromessi intermedi previsti affinché ciò avvenga. Dunque non avrà mai più quelle regioni».