la Repubblica, 17 febbraio 2015
«Mi piacciono le storie, il canto degli uccelli, Miró, Corto Maltese, il silenzio, il tic tac del pendolo. Ma sono uno scrittore imbroglione e diffido sempre del mio ruolo di romanziere. Un’insicurezza che risale ai tempi della scuola». Daniel Pennac si racconta in un libro di Fabio Gambaro
Parigi, Belleville. Nella casa silenziosa dell’intervistato, mentre sui vetri si affaccia un pallido sole invernale. Su un tavolino, due tazze di tè fumanti e un registratore. Un gatto acciambellato su una poltrona guarda curioso e perplesso. Daniel, ci conosciamo da tanti anni e abbiamo discusso tante volte dei tuoi libri, della scrittura, della vita. Mi ricordo ancora la prima volta che ci siamo incontrati, nella tua casa parigina di Belleville, in occasione della pubblicazione in Italia del primo romanzo della serie di Malaussène, Il Paradiso degli orchi.
In seguito, ti ho intervistato molte altre volte, a mano a mano che i tuoi libri uscivano in Francia e in Italia. Ho seguito la tua evoluzione di scrittore, ho letto i tuoi romanzi, ti ho visto a teatro, ti ho presentato in pubblico in Italia e in Francia, e ci è anche capitato di trascorrere insieme alcuni periodi di vacanza.
Insomma, la nostra è una conversazione che dura da quasi venticinque anni, scandita dal ritmo della vita e delle tue opere: dalla Fata carabina a Signor Malaussène, da Come un romanzo a Diario di scuola, da Ecco la storia a Diario di un corpo.
Daniel Pennac: Non mi sento “essenzialmente” uno scrittore, perché la mia identità non dipende dalla scrittura, ma dalle relazioni che ho con gli altri. Io mi sento e mi vivo innanzitutto attraverso i rapporti che intrattengo con chi mi sta vicino. La mia identità nasce dalla somma di queste relazioni.
Fabio Gambaro: Le relazioni con gli altri vengono dunque prima della scrittura? Ci sono scrittori che alla scrittura sacrificano tutto...
DP : Non io. Ciò che importa nella vita sono le relazioni, gli amici, la famiglia, le persone che amo. Da questo punto di vista, la scrittura può perfino interferire negativamente, per esempio quando ho il sospetto che i miei amici parlino alla mia funzione sociale più che a me come persona
FG: Esiste un lettore ideale?
DP: No. Il lettore sensibile, curioso e intelligente, capace di comprendere in profondità il nostro lavoro come nessun altro, è solo una proiezione del nostro desiderio di essere letti, compresi e amati. Quel lettore non esiste, è un’illusione, perché in realtà il lettore legge sempre per se stesso, non per noi scrittori. Nella letteratura cerca se stesso, non colui che scrive. Se il lettore ci apprezza, è soprattutto in funzione di quello che pensa di trovare di sé in ciò che abbiamo scritto, e la sua ammirazione può anche nascere da palesi errori d’interpretazione. Il che crea talvolta malintesi assai interessanti, soprattutto quando ci si rende conto che ad apprezzare i nostri libri sono persone molto lontane da noi, dalle quali mai ci saremmo aspettati un giudizio positivo.
FG : Insomma, si torna sempre agli altri...
DP : Sì. E quando vedo che i miei libri inevitabilmente diffondono speranze, sogni sociali, ideali educativi, modelli di fantasia, so benissimo che tutto ciò non viene da me, ma solo dalle proiezioni dei lettori sui miei testi e su di me.
FG : Ma questo riguarda tutta la letteratura: si scrive un libro e poi i lettori se ne appropriano come vogliono...
DP : Eppure talvolta ho lo stesso l’impressione d’imbrogliarli, di beneficiare di un’idealizzazione che non avrebbe motivo d’essere. Insomma, dubito sempre del mio ruolo di scrittore.
FG: È una questione di modestia?
DP : No, non credo che sia questo. È più probabile che sia una mancanza di sicurezza, un’inibizione che risale ai tempi della scuola e che forse, nonostante tutto, agisce ancora oggi, impedendomi la deliziosa sensazione della legittimità.
(…) Altopiano del Vercors. A1700 metri, l’intervistato e l’intervistatore, seduti sul bordo di uno strapiombo di 300 metri, guardano affascinati cinque aquile plananti sotto di loro (di solito è il contrario, sono le aquile che guardano gli uomini dall’alto). Che sia un invito a spiccare il volo?
FG: Daniel, per concludere la chiacchierata, divertiamoci un po’, partendo dal famoso questionario di Proust e lasciandoci andare all’invenzione. La tua parola preferita?
DP : Storia, ma con la “s” minuscola e sempre al plurale: quindi storie.
FG : La parola che detesti?
DP : Come è possibile detestare una parola?
FG : Un mestiere che non avresti fatto.
DP : Il boia.
FG: Un mestiere che avresti voluto fare, se non fossi stato scrittore?
DP : Il medico. Céline diceva che l’uomo è cattivo, e quando è malato lo è ancor di più, motivo per cui bisogna curarlo.
FG : La tua droga preferita?
DP : Il silenzio.
FG : La qualità che preferisci in un uomo?
DP : La lucida comprensione.
FG : La qualità che preferisci in una donna?
DP : Il rifiuto di drammatizzare.
FG : Un atteggiamento che detesti?
DP : L’ostentazione.
FG: Quello che ti fa più paura?
DP : Non resistere alle mie paure.
FG: Il tuo principale difetto?
DP : La malinconia, perché produce interminabili momenti di paralisi mentale.
FG: La tua occupazione preferita?
DP : Stare a chiacchierare con gli amici, come i momenti che abbiamo trascorso insieme per fare questo libro.
FG: Il tuo sogno di felicità?
DP : La felicità non si sogna.
FG : Il tuo più grande dolore?
DP : La perdita delle persone amate.
FG : Il peccato che t’ispira la maggior indulgenza?
DP : L’avarizia, perché nell’avaro c’è sempre una complessità nascosta.
FG La pianta o l’animale in cui vorresti reincarnarti?
DP Come ha risposto una volta Woody Allen, la spugna, perché non conosce predatori naturali.
FG: Un viaggio che ti piacerebbe fare?
DP : Andare sulla luna.
FG : Il tuo luogo o paesaggio preferito?
DP : La Toscana da cartolina con le colline e i cipressi.
FG: Il tuo mezzo di locomozione preferito?
DP : Il sogno.
FG : Il tuo piatto preferito?
DP : Le uova. Il gusto più impalpabile per l’alimento più diffuso: se restasse un solo uovo al mondo, la gente sarebbe pronta ad ammazzarsi per cucinarlo.
FG: La tua bevanda preferita?
DP : Il Lambrusco, che per me e mia moglie è il vino degli innamorati, dato che lo bevevamo quando ci siamo incontrati. Ma come molte altre bevande, per esempio una birra con gli amici, il Lambrusco è soggettivamente delizioso, ma oggettivamente molto più discutibile.
FG: Il tuo oggetto preferito?
DP: Il pendolo. Il tic tac del tempo che passa è una musica deliziosa.
FG: Un volto per una banconota?
DP : L’avaro di Molière.
FG: La tua musica preferita?
DP : Il canto degli uccelli.
FG: Un suono o un rumore che detesti?
DP : Lo scoppio di uno sparo.
FG: Il tuo artista preferito?
DP : Miró.
FG: Il tuo fumetto preferito?
DP : Corto Maltese.
FG: Il tuo film preferito?
DP : Amarcord di Fellini.
FG : Il tuo romanzo preferito?
DP : Quello che non ho ancora letto.
FG: Il tuo personaggio romanzesco preferito?
DP: Bartleby, D’Artagnan, Lara, Ingravallo, Portnoy, Catherine Earnshaw, Aureliano Buendía, il principe Myskin, Gavroche, Dedalus, Antigone, Pierre Bezukhov.
FG: Tra i personaggi dei tuoi romanzi, quale preferisci?
DP : Il narratore di Storia di un corpo, perché è stato un buon compagno di scrittura.
FG: Quello che ami di meno tra i tuoi personaggi?
DP : Difficile dirlo, dato che l’autore è presente un po’ in tutti i personaggi. E lascio al lettore il compito di trarre le deduzioni del caso.
FG: La tua battuta preferita?
DP : Cito ancora Woody Allen: «Non si è mai sentito un bambino dire: “Da grande voglio fare il critico’”.
FG: La tua imprecazione preferita?
D.P: Puttana vergine, perché è un ossimoro divertente che in francese non ha alcuna connotazione blasfema.
FG: Il tuo motto?
DP : Niente motti, perché per i motti alla fine ci si ammazza.
FG: Come vorresti morire?
DP : Se possibile, con curiosità. FG: Cosa vorresti che fosse scritto sulla tua tomba?
DP : A tra poco.
FG: Se Dio esiste, dopo la tua morte cosa vorresti chiedergli?
DP : Fabio è già arrivato?