la Repubblica, 16 febbraio 2015
Il drammatico racconto della morte del piccolo Daniel fatta dal padre: «Mio figlio ha lottato un giorno interno per sopravvivere, ma nessuno ha capito che aveva la meningite: pensavano fosse rosolia e gli davano la tachipirina»
«Daniel era una roccia e sarebbe diventato un bravissimo buttafuori come il suo papà». Si dispera Gaetano Cesanello per il suo piccolo di due anni che non c’è più. «Ha lottato un giorno intero per sopravvivere, ma dovevano aiutarlo al pronto soccorso, invece l’hanno rimandato a casa. E poche ore dopo è morto. Adesso devono dirmi perché».
Come stava il bambino quando siete arrivati al Sant’Antonio Abbate di Trapani, venerdì mattina?
«La maestra dell’asilo ci aveva chiamato perché Daniel era parecchio giù di tono. Se ne stava in un angolo con il suo bel vestitino di Arlecchino. Siamo arrivati di corsa, era pallido. Per strada, ha vomitato e poi è svenuto. Aveva febbre alta. Dal pronto soccorso ci hanno mandato al reparto di Pediatria. Un dottore ha detto: “È un virus”. E con un po’ di tachipirina ci ha rimandati a casa».
A che ora è avvenuta la visita?
«Credo intorno alle 12, comunque poco prima dell’ora di pranzo».
A casa, il bambino stava ancora male?
«Si vedeva chiaramente che c’era qualcosa che non andava. Le altre volte, la tachipirina aveva fatto sparire la febbre nel giro di pochissimo tempo. Venerdì sera, invece, non passava. E intorno alle otto sono spuntate anche dei puntini rossi sul petto di Daniel».
Cosa avete fatto?
«Abbiamo chiamato immediatamente il pediatra, che ha ipotizzato un principio di rosolia, anche se mio figlio era vaccinato. Poi, Daniel si è addormentato. Ma alle 10 ha iniziato ad avere delle convulsioni e ha perso conoscenza. Gli ho subito praticato la respirazione bocca a bocca e si è ripreso. Intanto, mia moglie chiamava il 118».
L’ambulanza è arrivata in tempi brevi?
«Noi abitiamo poco fuori Trapani. Per fare prima, ci siamo dati appuntamento all’ingresso della città, che io ho raggiunto con la mia macchina. E nel giro di una manciata di minuti siamo arrivati in ospedale».
Questa volta, avete avuto indicazioni più precise dai medici?
«Assolutamente no. Dal pronto soccorso siamo ritornati alla Pediatria. Hanno misurato la febbre, non hanno fatto altro. Intanto, il corpo del bambino si era riempito di chiazze di sangue, come se i capillari si fossero rotti. Qualcuno ha accennato: “È un’infezione”. Ma non ci sapevano dire altro, mentre io continuavo a chiedere: “Un’infezione dovuta a che cosa?”. Mio figlio si lamentava, ma cosa può dire un bambino di 23 mesi? Alle 3,27 è morto».
Cosa hanno scritto i medici nel referto?
«Arresto cardiocircolatorio. Ma che cosa l’ha causato? Io sono solo un operaio edile che la sera fa il buttafuori, non ne capisco di queste cose. Ma loro sono i medici: che cosa non hanno saputo diagnosticare?».
Ora c’è un’indagine della procura di Trapani su quanto accaduto. Anche l’Asp ha avviato un’inchiesta, una nota ufficiale avanza il sospetto che suo figlio sia stato stroncato da una meningite.
«Bisognava scoprirlo prima, per salvare Daniel. Invece, mi hanno telefonato solo sabato mattina per dirmi che c’era il rischio di contagio. Abbiamo dovuto sottoporci a una profilassi. Anche i compagnetti dell’asilo sono in osservazione. Ma il mio pensiero resta a quella mattina di venerdì. Perché non ci hanno fatto restare in ospedale?».