Corriere della Sera, 16 febbraio 2015
Ai greci che chiedono aiuto abbiamo il dovere di ricordare che l’obbligo della solidarietà non può prescindere dall’interesse comune. È nostro comune interesse che la Grecia approfitti di questa occasione per adottare riforme che le impediscano di cedere ancora una volta ai suoi vecchi vizi
Circa la sua risposta sulla questione fra Germania e Grecia sui danni di guerra, io giungo a una diversa conclusione: come nel 1953 (per favorire la ripresa della Germania che interessava a tutti) la Grecia fu «costretta» a rinunciare a quanto avrebbe potuto pretendere, è arrivato il momento di un’analoga operazione ma di segno contrario: la Germania venga «costretta» (per la ripresa della Grecia che interessa a tutti) a pagare rivalutato quanto non pagò all’epoca, cifra sufficiente per estinguere il debito con la Comunità europea. O i tedeschi hanno maggiori diritti dei greci a essere tutelati dalla comunità internazionale?
Gherardo Verità
g.verità@gmail.com
Caro Verità,
Credo che la Grecia nel 1953, come lei suggerisce, abbia effettivamente firmato controvoglia il Trattato con cui i debiti contratti dai tedeschi dopo la Grande guerra venivano dimezzati e scaglionati nel tempo. Ma lo firmò, probabilmente, perché era difficile dire no agli americani quando era già allora destinataria di aiuti esterni: quelli provenienti dal Piano Marshall che gli Stati Uniti avevano offerto all’Europa nel 1947. Dovremmo, ciononostante, ritenere che la Grecia sia ora trattata peggio della Germania 62 anni fa? Ricordo ai lettori che Atene, dopo la crisi del 2008, ha già ricevuto aiuti importanti e che le quattro maggiori economie dell’Unione (Germania, Francia, Italia e Spagna) sono esposte al debito greco, grazie a prestiti bilaterali e contributi al «Fondo salva Stati», per le somme rispettive di 53,3, 42,0, 36,8 e 25,0 miliardi di euro; senza contare i 68 miliardi ricevuti dall’Unione europea dopo la sua adesione alla Comunità nel 1981.
Vi sono altre ragioni per cui il confronto tra la Germania del 1953 e la Grecia d’oggi suggerisce qualche distinzione. La Germania aveva realizzato in buona parte la sua ricostruzione dando prova di grande efficienza. Aveva, nella persona di Konrad Adenauer, un cancelliere forte, autorevole, rispettato dai suoi colleghi europei. Aveva un ministro dell’Economia, Ludwig Erhard, che mantenne l’incarico dal 1948 al 1963, gli anni del miracolo economico, e fissò le grandi linee dell’economia tedesca negli anni seguenti. Gli aiuti dati allora alla Germania furono utili all’intera economia europea.
Le condizioni della Grecia non sono altrettanto promettenti. Negli anni del suo governo, Antonis Samaras ha fatto qualche riforma importante, ma nel sistema fiscale greco esistono oasi pressoché intoccate, come quelle degli armatori e della Chiesa ortodossa. Nonostante i sacrifici degli strati sociali più bisognosi, la Grecia soffre ancora della politica clientelare lungamente praticata dalla sua classe dirigente.
Non vorrei essere frainteso, caro Verità. La Grecia deve restare nell’Ue per almeno tre motivi. La sua uscita dall’euro dimostrerebbe che la moneta unica non è una scelta definitiva. Una confederazione di Stati che aspira a rafforzare le istituzioni comuni non può mancare all’obbligo della solidarietà quando uno dei suoi membri attraversa una fase difficile. Il Mediterraneo è diventato una frontiera calda dell’Unione e nessuna politica di sicurezza può essere pienamente realizzata senza la Grecia. Ma ai greci che chiedono aiuto abbiamo il dovere di ricordare che l’obbligo della solidarietà non può prescindere dall’interesse comune. È nostro comune interesse che la Grecia approfitti di questa occasione per adottare riforme che le impediscano di cedere ancora una volta ai suoi vecchi vizi. I programmi elettorali di Syriza e le dichiarazioni dei suoi leader dopo la formazione del governo, non danno ancora queste garanzie.