La Stampa, 16 febbraio 2015
Un libro, un film, ma soprattutto una storia vera: Foxcatcher è una vicenda che lega sport, sangue e follia. Nel 1996 John du Pont, viziato erede di una dinastia di industriali, uccise il campione di wrestling che aveva ingaggiato per la sua squadra
Che terzetto, i due fratelli Schultz – il trentenne Mark e il trentunenne Dave dal fisico veramente «bestiale», bicipiti di acciaio e gambe a tenaglia – e il cinquantaduenne John, capelli ingrigiti e maglia puzzolente indossata per più settimane! John du Pont, erede della notissima dinastia d’industriali francesi-americani che ha dato il via alla sua immensa fortuna con la produzione di polvere da sparo, non cura l’igiene personale, ha uno strato di forfora in testa, pezzetti di cibo tra i denti ed è segnato da un’attrazione fatale per uno sport, il wrestling. Di cui Mark e Dave Schultz – provenienti dai sobborghi di Palo Alto in California – rappresentano due assoluti fuoriclasse.
Olimpionici di lotta
I fratelli hanno collezionato titoli da Guinness, si sono conquistati tutti e due nello stesso anno, il 1984, le medaglie olimpiche per la lotta, sono stati campioni del mondo e hanno ottenuto numerosi successi nelle competizioni nazionali universitarie. Il Creso della Pennsylvania, che ha un ego straripante e volontà di potenza, li ha arruolati come allenatori della sua squadra e vuole partecipare con loro ai campionati. Adesso, a raccontarci la vera storia del nababbo du Pont che si credeva il «Dalai Lama degli Stati Uniti» e che invece si trasformò in assassino, arriva l’autobiografia degli Schultz redatta da Mark, Foxcatcher. Una storia vera di sport, sangue e follia (in uscita domani da Sperling & Kupfer). Il libro lo ha scritto il più piccolo degli Schultz: infatti il mite Dave, il fratello maggiore con una gran massa di muscoli e un cuore d’oro, fu ucciso dal miliardario che lo aveva assoldato, finito preda dei suoi deliri e della sua lucida pazzia. Tratto dal libro di Mark (a cui ha collaborato il giornalista David Thomas) è inoltre atteso in Italia (dal 5 marzo) l’omonimo film di Bennett Miller, premiato a Cannes per la migliore regia e candidato a ben cinque Oscar, con Steve Carell, Sienna Miller e Vanessa Redgrave.
Alcolista e cocainomane, Du Pont, sempre fuori di testa, era però un attento gestore del suo patrimonio e del team di atleti – del nuoto, del pentathlon moderno, del triathlon e della lotta – a cui offriva sostanziosi finanziamenti. Il suo gruppo si chiamava «Foxcatcher» come le scuderie di suo padre dove si allenavano purosangue. Pure John si circondava di cavalli di razza, come gli Schultz che venivano da anni di dura e sofferta gavetta. Dave, dislessico e intelligentissimo, prima della sua ascesa sul ring era stato considerato un ragazzo problematico, mentre Mark era stato affidato ai servizi sociali.
Al giovane Du Pont, cresciuto in una casa con più di 40 stanze, era andato, invece, tutto splendidamente: ornitologo in erba, viaggiò per mezzo mondo e scoprì un nuovo tipo di sparviero e uno di pappagalli. Collezionista di reperti marini, fondò e si autonominò direttore di un gigantesco museo di Scienze naturali in Delaware, Stato di cui era governatore suo cugino: mise in bacheca due milioni di conchiglie raccolte da lui stesso e i suoi 66 mila volatili impagliati. Era molto amato e ben protetto dalla polizia della sua città a cui donava giubbotti antiproiettile, concedeva il proprio elicottero e l’uso del suo poligono di tiro.
Di qualcuno che chiudesse un occhio ne aveva proprio bisogno: si divertiva a fare «ragazzate», come buttarsi nel lago di casa al volante della limousine, maneggiare fucili a pompa, una decina di mitra e pure un carro armato con cui gli capitò di demolire un paio di alberi secolari dei vicini: «Sorry», si scusò, «ho sbagliato strada». Gli amici in divisa gli mandano il carro attrezzi e commentano: «Sei sempre il solito giocherellone, John».
Allenatori minacciati
Anche quando decide di darsi al wrestling è super coccolato: dona un miliardo all’anno alla Federazione e viene eletto capitano della squadra olimpica. Ma in realtà vorrebbe essere lui stesso un campione. Minaccia e molesta giocatori e allenatori, caccia gli sportivi afroamericani dicendo che non sopporta la gente di colore. Analoghi trattamenti li riserva a Mark che dovrebbe portare i suoi ragazzi alla vittoria e che, dopo tanti soprusi, lo abbandona. Lui non si arrende e per ripicca assolda il più accomodante Dave. A cui sparerà veramente a sangue freddo, nel gennaio del 1996, per poi barricarsi in casa.
Dopo un lungo assedio in cui i poliziotti, ormai ex amici, gli taglieranno acqua, elettricità, riscaldamento, venne arrestato e poi condannato a 13 anni. Morì in carcere nel 2010, malgrado i suoi avvocati avessero cercato inutilmente di fargli riconoscere l’infermità mentale. Al processo si scusò per il «fastidio» (letteralmente) dato a moglie e figli di Dave. Folle però non lo era per niente. Quando aveva puntato la gigantesca Magnum 44 contro il lottatore – ben lo fa capire Mark – era consapevole del suo gesto. I fratelli Schultz, ancorché poveri diavoli, possedevano un capitale di talento e di qualità eccezionali. E lui al confronto era un poveraccio.