La Stampa, 16 febbraio 2015
Scafisti con i kalashnikov spianati hanno assaltato la Guardia costiera: «Ridateci il gommone o vi spariamo». Ieri nel canale di Sicilia assistite duemila persone
«Si sono avvicinati e ci hanno minacciato con i kalashnikov, abbiamo dovuto restituire il gommone dopo avere messo in salvo i migranti». Sono ancora sconvolti gli uomini della Guardia costiera che ieri pomeriggio, intorno alle 4, mentre soccorrevano l’ennesimo barcone a 50 miglia da Tripoli, si sono visti puntare le armi da un gruppo di uomini che volevano recuperare l’imbarcazione, merce preziosa per il loro traffico di esseri umani. Un episodio che dà il segno della tensione che cresce, in una giornata da bollino rosso, con il Canale di Sicilia gremito di carrette del mare in fuga dalla Libia. E il comando generale della Guardia costiera impegnato a inviare motovedette, dirottare mercantili, coordinare rimorchiatori, pattugliatori, aerei.
Già, se gli italiani vengono rimpatriati, una marea di africani fugge dalle milizie fondamentaliste in un Paese ormai fuori controllo. Oltre duemila e cento i migranti raccolti ieri fin quasi sulle coste libiche, ma secondo i boatos sempre più insistenti potrebbero essere soltanto l’avanguardia di una valanga umana. Ci sono centinaia di migliaia di disperati pronti a imbarcarsi, quei subsahariani che sotto il regime di Gheddafi – pur discriminati – lavoravano e guadagnavano molto bene e che adesso sono alla mercé delle milizie.
Come i saraceni
Oltre mezzo milione gli stranieri ancora in Libia, un numero che fa rabbrividire chi teme un esodo di massa. E crescono i timori di infiltrazioni. Come escludere che le milizie jihadiste vicine all’Isis possano approfittare dell’esodo di disperati per inviare terroristi in Europa? Un timore che adesso agita non soltanto la Lega ma anche osservatori neutrali. Mentre le organizzazioni internazionali rilanciano l’idea di corridoi umanitari, ipotesi complicata però dalla mancanza di un interlocutore affidabile sull’altra sponda del Mediterraneo.
La minaccia da parte dei trafficanti agli uomini disarmati della Guardia costiera apre scenari inediti. Finora i soccorritori avevano dovuto vedersela con due incognite: la distanza e le condizioni del mare. Adesso c’è anche la paura di violenze e aggressioni. «Un allarmante salto di qualità nell’orrendo traffico di donne, uomini e bambini», dice il ministro dei Trasporti Maurizio Lupi, dal quale dipende il Corpo della Guardia costiera. Il Canale di Sicilia potrebbe tornare a somigliare a quello che era tra il 1600 e il 1800, quando equipaggi musulmani e cristiani attivi nella guerra corsara – la pirateria mediterranea – si contendevano uomini e merci a suon di spade.
Centinaia di arrivi
Si fa fatica a tenere il conto dei salvataggi e degli sbarchi avvenuti nelle ultime 48 ore. Sabato l’avvistamento e il recupero di sei gommoni, con 600 migranti trasferiti in parte sulla nave della Guardia costiera Peluso e in parte su una nave islandese dell’operazione Triton. Mentre i primi di loro ieri sbarcavano a Pozzallo – tra loro un giovane centrafricano con la gamba impallinata e un ragazzo con le dita di una mano spezzate, segno che i trafficanti non vanno troppo per il sottile con chi deve imbarcarsi – partivano i primi Sos da parte di altri gommoni. A fine giornata se ne sono contati undici, raccolti a 120 miglia a sud di Lampedusa. Con la Sicilia di nuovo in prima linea nell’accoglienza. Attesi in serata a Porto Empedocle 290 migranti, tra cui alcune donne incinte; altri 285 sbarcati ad Augusta dalla nave islandese. Tutti con il terrore negli occhi.