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 2015  febbraio 16 Lunedì calendario

L’esito del negoziato sulla Grecia andrà valutato soprattutto sulla base di un interrogativo: il governo di Atene accetterà di restare all’interno degli accordi europei esistenti? Accetterà cioè lo scambio tra gli aiuti dei partner e il fatto che riforme e politiche nazionali siano soggette al controllo comune?

L’esito del negoziato sulla Grecia andrà valutato soprattutto sulla base di un interrogativo: il governo di Atene accetterà di restare all’interno degli accordi europei esistenti? Accetterà cioè lo scambio tra gli aiuti dei partner e il fatto che riforme e politiche nazionali siano soggette al controllo comune?
Se lo farà, sarà poco importante se Alexis Tsipras avrà ottenuto più crediti a migliori condizioni o se per rendere accettabile l’accordo si ricorrerà ad acrobazie semantiche, chiamando contratto l’estensione del programma, o se si rimescolerà la Troika. Il dato di fatto politico sarà comunque che anche una coalizione radicalmente critica degli assetti europei, come quella formata da Syriza e dai Greci Indipendenti, alla fine si sarà adattata a rispettare il principio di interdipendenza, di sovranità condivisa, di subordinazione delle promesse elettorali al negoziato europeo sui contenuti, più o meno come ogni altro governo al tavolo delle istituzioni comuni.
Se i capi di governo dei paesi euro convinceranno Tsipras ad accettare la condivisione di sovranità, non lo avranno fatto probabilmente per convinzione europeista. Avranno perseguito quello che per loro oggi è l’interesse politico primario: avranno cioè svuotato la retorica dei molti partiti che nei loro paesi minacciano le maggioranze di governo attraendo consensi attorno alla priorità degli interessi nazionali rispetto a quelli comuni europei.
Movimenti di crescente popolarità, tra cui il Front National in Francia, Alternativa per la Germania, i vari partiti anti-euro in Italia, il Sinn Fein irlandese, Podemos in Spagna, i Finlandesi o, fuori dall’euro, l’Ukip inglese o il Folkeparti danese, saranno meno credibili agli occhi degli elettori quando prometteranno di stracciare gli accordi in atto, uscire dall’euro o dall’Unione europea, una volta giunti al potere. Addomesticando Syriza, si sarà dimostrato che minacciare l’arma nucleare della rottura degli accordi europei funziona solo nella retorica anti-establishment nazionale. Lo stesso Tsipras, una volta al tavolo di Bruxelles, ha dovuto tener conto del fatto che la grande maggioranza dei greci – compresi i suoi elettori – non vuole né uscire dall’euro, né tanto meno dall’Unione europea.
La trattativa con Atene finirà così per ripercuotersi in tutta Europa: oltre alla Grecia, nel 2015 si tengono elezioni parlamentari in Estonia, Spagna, Portogallo e Finlandia. Si svolgono anche elezioni locali in Francia, Germania e Italia. Fuori dall’euro votano inoltre Gran Bretagna, Danimarca e Polonia. In tutti questi paesi, la tradizionale linea di demarcazione tra destra e sinistra è scivolata in secondo piano rispetto alla divisione tra partiti che collaborano all’integrazione europea e partiti che rivendicano un interesse protezionista o nazionalista. Talvolta “destra-sinistra” ed “Europa-non Europa” possono sovrapporsi, dato che il rifiuto della globalizzazione, dell’austerità o dell’immigrazione trovano alimento nella disuguaglianza e nell’incertezza economica.
Per i partiti tradizionali si tratta di riempire il loro europeismo di contenuti e di convincimenti. Gli interessi economici sono necessari ma non sufficienti. A garantire il consenso non basta il fatto che l’elettore mediano che garantisce la vittoria elettorale nei voti europei sia in genere anziano, interessato quindi alla stabilità dei propri risparmi ancor più che alle opportunità di lavoro. Ci sarà sempre un momento in cui l’equilibrio di breve termine tra costi e benefici economici non cadrà dal lato della scelta europeista. Non solo non basta la retorica degli interessi economici, ma nemmeno quella di rispondere confondendo le istanze politiche dei partiti tradizionali sotto una bandiera unica. Proprio il caso greco dimostra che anche una grande coalizione tra arci-rivali, come Nuova Democrazia e il Pasok, può essere sconfitta. In Germania la stabilità del governo di grande coalizione è insidiata da un’opposizione anti-Europea che trae beneficio dal presentarsi come unica alternativa alla politica tradizionale.
L’eventuale ritirata di Syriza e l’accettazione degli accordi europei, non dovrebbe dunque essere interpretata come una definitiva liquidazione del fronte anti-europeo. Se l’aiuto a un paese in difficoltà non sarà accompagnato da solidarietà, dal fatto cioè che tutti i paesi riconoscano che ricostruire la capacità economica di un paese debole è interesse di tutti, l’accordo non reggerà. Fino a che la risposta alla domanda di benessere degli europei e di senso solidale della convivenza non sarà convincente, l’Unione per necessità non sarà mai anche un’Unione per scelta e a essa mancherà il consenso, sostrato della democrazia.