la Repubblica, 16 febbraio 2015
Sanremo, ecco il meglio e il peggio dell’edizione dei record. Dalle letterine finali alla riscossa postuma di re Claudio Villa
Le serate spossanti. Il record è del venerdì, chiusura senza il minimo senso all’1 e mezza, sfiorando le cinque ore. Tutte le serate insieme fanno un giorno intero di programmazione. Agghiacciante. Gli effetti sono nella serata finale: altrettanto lunga, ma almeno è la finale, ma tutti stanno festeggiando da giorni il successo e non funziona quasi niente. Alla fine la sigla è una liberazione accompagnata da urla. NO
Carlo Conti. Un caterpillar, qualunque cosa succedeva andava bene, preparando il mi- nimo indispensabile e valutando che l’unica cosa che conta è saper tenere il timone in corsa. Gli combinano il guaio atroce di Nek in posizione sbagliata, lui se ne esce con la storia del computer che vede la N di Nina Zilli e sforna Nek. È talmente surreale che potrebbe essere vera. SÌ
Carlo Conti. L’uniformità fa anche male, Baudo sapeva far capire quando qualcuno gli faceva orrore. Unica concessione che si prende, chiama “Tom” Conchita Wurst. A quel punto doveva affondare: “Ma ti presenti combinato in questo modo truzzo e non ti posso chiamare Tom?”. NO
Carlo Conti. Qualcuno dovrebbe presentarsi da lui con due foto, una di Rakele e una di Amara e vedere se le distingue. NI
Le letterine a Carlo Conti. Micidiale atto finale del trio femminile. Leggono una letterina come alla maestra delle elementari alla fine dell’anno. Fino lì era tutto passato in maniera normale, i fan di Emma erano entusiasti di Emma, i fan di Arisa erano entusiasti di Arisa. Gli altri, se ne battevano allegramente. NO
Luca e Paolo. Meglio quando evitano i grandi temi. Il primo pezzo di attualità con Conti in mezzo era da perfezione sanremese. Battuta epica: “Giletti anticasta. Oh. Ma l’avreste mai immaginata una cazzata così grande?”. Bizzarri è umorale e difficile, ma è un signore. A fine esibizione twitta: “Pensavo di aver fatto una cosa carina poi ho visto Crozza che fa Mentana e ho capito che dobbiamo ricominciare da capo”. Standing ovation. SÌ
Rocco Tanica. Nella prima serata, anzi notte, non funziona niente. Aggiusta tutto in corsa e infila tre apparizioni da urlo – lo Yeti, il signor Abo Minevole resterà negli anni. Come premio lo segano dalla pur interminabile ultima sera. SÌ
Claudio Villa. Trionfo postumo grazie a quelli de Il Volo. Per i quali già Bocelli appare come un fottuto rivoluzionario. Il ritorno è davvero al Reuccio, anche se lui mai avrebbe accettato di chiamare una canzone Grande Amore. SÌ
Irene e gli altri. Quelli della generazione di mezzo, trattati come anziani per l’avanzata dei Moreno e compagni. Mah. La Grandi sfodera l’unica vera emozione via canzone dell’intera gara. SÌ
Enrico Ruggeri. Idem. Il suo omaggio a Gaber, Jannacci e Faletti era un po’ troppo spiegato nel testo, ma rispetto ad altri omaggi era poesia pura. Finisce in contrappasso: lui detesta i radical chic, ma in un festival radical chic il suo pezzo così “intenzo” non l’avrebbero messo all’una di notte. SÌ
Samantha. Appena le spiegheranno che qui sulla Terra ci si accapiglia perché non era in diretta le verrà voglia di restare su. Peraltro, per via di certe inquadrature, uno dei rari sex-symbol dell’intero Festival. SÌ
La centralità di Sanremo. Piccola rivincita per chi da anni assiste ai baccanali per la nuova tv – confinata in posti da 4%, e cerca di far notare che il 30 fisso lo fa solo Terence Hill. O Carlo Conti con Tale e Quale.
Con un Festival simile quel 30 lo porti a casa a prescindere (Fazio no, per dire) e a quel punto aggiungi tutti gli altri che vengono a curiosare e a divertirsi. L’uovo di colombo, o di Leone. SÌ, NO, FORSE.