la Repubblica, 16 febbraio 2015
Pd e Forza Italia vanno verso una tregua. L’ipotesi di nuove trattative senza Verdini. Bersani: «Calmiamoci tutti, anche il vertice del mio partito cambi verso»
Profumo di tregua da Pd e Forza Italia. Dietro le sparate a pallettoni di Brunetta, che ancora ieri è andato a Skytg24 a parlare di una «ferita mortale alla nostra democrazia», le diplomazie sono al lavoro per ricucire.
La prova la si avrà oggi stesso, alla direzione del partito democratico. Dai toni del discorso di Renzi si capirà quanto sia grande l’interesse del premier a non balcanizzare ulteriormente il Parlamento. Gli indizi convergono tutti nella stessa direzione. Lorenzo Guerini confida che gli piacerebbe «provare a riannodare i fili con Forza Italia, anche perché la riforma costituzionale non solo è stata solo votata da loro sia in Senato che in commissione alla Camera, ma è stata anche scritta insieme a loro». E dunque ora si tratterà di scontare qualche giorno di fuochi d’artificio «comprensibili», ma poi tutto si dovrebbe normalizzare. In vista del voto finale previsto per il 10 marzo. Parole felpate, le stesse che si ascoltano a palazzo Chigi. Dove viene valutata l’idea di riaprire le trattative ma con un’altra delegazione forzista: via Denis Verdini, ormai bruciato, e sotto con Giovanni Toti e – udite udite – lo stesso sulfureo Brunetta.
Tutti al vertice del Pd si spendono per il rientro di una parte delle opposizioni al tavolo da gioco. Non il Movimento cinque stelle, considerato un’opposizione antisistema e inaffidabile. Ma gli altri sì. «Ci sono tutte le condizioni – spiega il presidente Matteo Orfini – per riaprire un dialogo. Forza Italia ha rotto sulle riforme perché si è... rotta. Ora si sono posizionati su una linea oltranzista, ma lì già c’è Salvini che rischia di fagocitarli». Anche perché, è il sottotesto di tutto il ragionamento di Orfini, «in Parlamento a occhio e croce i numeri per le riforme ci sono, quindi noi andremo avanti comunque».
Dal campo berlusconiano si alzano specu- lari segnali di fumo. Giovanni Toti, consigliere dell’ex Cavaliere, ha smussato parecchio la battuta di Brunetta sui «sorci verdi» da far vedere a Renzi: «I sorci di Forza Italia sono sempre ragionevoli. Se ci propongono cose ragionevoli, noi ragioniamo». E Renzi ha considerato come un primo gesto di distensione – meglio, come un tentativo di rientrare in partita – la dichiarazione di Berlusconi sulla Libia. Smentendo la linea dura espressa dal Mattinale di Brunetta la mattina – «È tipico dei regimi compattare intorno a sé il Paese in una avventura» – nel pomeriggio il leader da Arcore ha annunciato infatti il sostegno di Forza Italia a un’eventuale missione. E lo strappo della seduta-fiume? Ettore Rosato, vicecapogruppo dem, sparge balsamo sull’orgoglio ferito dei forzisti: «Dopo che loro sono usciti siamo stati attenti a non stravolgere i contenuti del testo che avevamo concordato con loro al 100%. Anche i pochi subemendamenti, approvati dopo l’uscita di Fi, sono stati quelli che avevamo concordato con loro».
Su questa linea buonista, in fondo, sarà più facile per Renzi anche placare il malumore della sua minoranza interna. Con i suoi ieri si è fatto sentire Pierluigi Bersani, che oggi potrebbe ripetere gli stessi concetti in direzione: «Il problema non è Boccia, ma di chi ha la responsabilità del partito. Ci si mette pure Orfini con quei tweet irritanti come punture di spillo. In direzione dovremmo raffreddarci la testa tutti quanti». Sul merito, l’ex segretario non cambia idea: «È la maggioranza del partito che deve “cambiare verso”. Se il patto del Nazareno non esiste più, allora perché andare avanti come se ci fosse ancora? E questo vale sia per il metodo sia per i contenuti». Secondo Bersani, Renzi dovrebbe invertire l’ordine degli interlocutori: «Prima dovrebbe parlare con il Pd, poi con la coalizione, e infine con quelli che il Pd dovrebbe sentire più vicini». Ovvero Sel, un partito «con cui dovremmo allearci alle regionali». Anche il bersaniano Andrea Giorgis, pur rivendicando il lavoro della minoranza Pd per migliorare la riforma, invoca una «parlamentarizzazione del confronto con le opposizioni».
Nel suo intervento Renzi parlerà ovviamente anche di Libia e della situazione economica. «Si moltiplicano i segnali positivi – farà notare – e questi segnali vanno incoraggiati, colti con fiducia e senza enfasi». Con questo schema in mente il premier lavora sia al prossimo Consiglio dei ministri (lavoro e fisco) che al “format” del suo tour in giro per l’Italia «nei luoghi della ripartenza possibile».