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 2015  febbraio 16 Lunedì calendario

Oggi si presenterà qualche decisione sulla Grecia, ma intanto la Libia incombe, ieri un centinaio di italiani sono stati imbarcati e mentre scriviamo stanno tornando in patria, dopo aver fatto tappa a Malta

Oggi si presenterà qualche decisione sulla Grecia, ma intanto la Libia incombe, ieri un centinaio di italiani sono stati imbarcati e mentre scriviamo stanno tornando in patria, dopo aver fatto tappa a Malta. Li sorveglia, dall’alto, un Predator senza pilota, li scorta la Marina militare. L’ambasciata a Tripoli ha sospeso ogni attività ed è un pezzo che la Farnesina raccomanda a tutti di non imbarcarsi per quel paese. Renzi, il ministro degli Esteri Gentiloni, il ministro della Difesa Pinotti ieri hanno detto o fatto capire che l’Italia è addirittura pronta ad andar laggiù e combattere, si aspetta solo un via libera internazionale per mettersi a capo di una forza militare alleata che tenti di rimettere in ordine quel Paese e tenere a bada i seguaci del Califfo.

Vogliamo elencare le cose libiche che ci riguardano?
La Guardia Costiera di Roma ha passato la domenica a coordinare un’operazione di salvataggio che riguardava undici tra barche e gommoni. Tutti in viaggio dalla Libia verso le nostre coste. Ricorderà che l’altro giorno s’è saputo di altri 380 morti, gente che era stata fatta salire anche a forza su tre o quattro gommoni e lasciata andare nella tempesta. La prima questione è questa: il 90 per cento dei disperati che arrivano per mare sulle nostre coste provengono dalla Libia. C’è molto traffico che si concentra lì da altri Paesi, ma c’è anche un chiaro incremento di fughe degli stessi libici, martoriati dalle guerre civili in corso e dalla ferocia dei combattenti. La seconda questione è che l’Isis, avendo conquistato Sirte, è effettivamente a un passo. Marciano adesso verso Misurata, che sta solo a 250 chilometri. E dopo Misurata c’è Tripoli, dove già adesso circolano una quantità di bande che si richiamano ad al Baghdadi. Dopo Tripoli, in teoria, c’è l’Italia.  

Bengasi?
Quelli del Califfo l’hanno, come si dice, «penetrata». Dove non ha ancora vinto militarmente, l’Isis ha vinto ideologicamente. E anche qui vale la regola che la gente accorre numerosa, in genere, in soccorso del vincitore.  

Lei sostiene che questi qui possono sul serio arrivare in Italia.
Quattro mesi fa il califfo ci ha già fatto vedere, sul suo magazine Dabiq, la bandiera nera dell’Isis sventolante su piazza San Pietro. Era un fotomontaggio, ma in quel momento gli islamisti non stavano a Tripoli. La radio ufficiale dello stato islamico, al Bayan, ha definito l’altro giorno il ministro Gentiloni con l’aggettivo «crociato». L’Isis sta attenta a scegliersi nemici clamorosi, che facciano presa sui musulmani. Ricordo che, nonostante tutto, questa è una guerra tra due Islam estremisti, quello del Califfo e quello di al Qaeda.  

Altre cose che ci riguardano, per cui sarebbe non inutile intervenire?
Il business. L’Eni è riuscita a non interrompere mai la produzione (anche se si pompano appena 350 mila barili al giorno, contro il milione e sei dell’epoca Gheddafi), ma non abbiamo più commesse, ci mancano gli appalti e tutto un indotto che ci fruttava decine di milioni. La pace è molto lontana, ma nessuno come noi è interessato a riprendere la marcia per raggiungerla. L’equivoco inglese e soprattutto francese è finito, la Libia è un dossier italiano. L’inviato delle Nazioni Unite Bernardino Léon, l’ultimo ad essere andato laggiù per tentare una mediazione, riceveva i rappresentanti delle varie fazioni quasi sempre nelle stanze della nostra ambasciata, l’unica, tra l’altro, ancora aperta. Lo so che è dura da ammettere, ma tocca a noi.  

Quindi? Ci stiamo armando e stiamo partendo?
No. Renzi ha detto: «Ci vuole una missione Onu. E l’Italia è pronta, dentro una missione Onu, a fare la sua parte. Noi non partiamo da soli». Gentiloni: « Il peggioramento della situazione richiede ora un impegno straordinario e una maggiore assunzione di responsabilità, secondo linee che il governo discuterà in parlamento a partire dal prossimo giovedì 19 febbraio. L’Italia promuove questo impegno politico straordinario ed è pronta a fare la sua parte in Libia nel quadro delle decisioni dell’Onu». Ci sono bordate da Grillo e da Brunetta, ma Berlusconi, a un tratto placato, ha fatto sapere di essere d’accordo sull’intervento. «Accogliamo con favore l’intento del governo di non abdicare alle responsabilità che ci derivano dal ruolo che il nostro Paese deve avere nel Mediterraneo. Un intervento di forze militari internazionali, sebbene ultima risorsa, deve essere oggi un’opzione da prendere in seria considerazione per ristabilire ordine e pace».