la Repubblica, 13 febbraio 2015
Sulle 50 sfumature di grigio. Anche se il film è più bello del libro, il sesso al cinema non crea più quelle emozioni erotiche che regalava in passato quando era meno mercificato e poco raccontato
Ha senso aspettarsi un bel film copiato quasi parola per parola da un bruttissimo libro? Ha senso giudicare bruttissimo un libro che ha venduto milioni di copie in ogni angolo del mondo (più di un milione in Italia) e che con l’uscita del film forse tornerà primo nelle classifiche di vendita? Per quanto stroncato dalla critica, indignata e ridanciana, 50 sfumature di grigio film è comunque meglio del libro, se non altro perché la sua feroce banalità l’ha diretta quella artista visuale del gruppo Young British Artists, vincitrice di un premio anche alla Biennale d’arte di Venezia del 1997, che si chiamava Sam Taylor- Wood; e che adesso è Sam Taylor-Johnson, dopo aver sposato l’attore Aaron Johnson, trasformato nell’adolescente John Lennon nel primo film da lei diretto, Nowhere Boy, che ha vent’anni meno e con cui ha due figlie.
Il successo mondiale del libro è già stato studiato come fenomeno inspiegabile, quello quasi certo del film preoccuperà altri esperti.
Il cinema è riuscito in passato a creare emozioni erotiche quando il sesso era meno mercificato e poco raccontato.
In più si trattava davvero di una nuova trasgressione che suscitava censure e interventi politici oltre che vescovili: anche se ad osare erano solo grandi registi che con poche immagini riuscivano a turbare un pubblico soprattutto colto. Fu addirittura condannato al rogo nel 1972 il tuttora conturbante Ultimo tango a Parigi del giovane Bernardo Bertolucci, che mostrava una sodomizzazione del resto praticata dal meraviglioso Marlon Brando, che suscitò il massimo scandalo ma anche molti sospiri non solo femminili. Diventando di moda i sadomasochismi anche non letterari, si fece più di un film dalla serie di romanzi della tailandese Emmanuelle Arsan con protagonista una Emmanuelle molto maso ma con l’aspetto casto, come è di prammatica in questi casi, della delicata ragazza olandese Sylvia Kristel. Il regista francese Just Jaeckin ne fece nel 1974 l’esempio del porno patinato e soporifero, mentre l’anno dopo lo stesso regista osò il massimo misfatto, portare sullo schermo, banalizzandolo, quello che resta il massimo capolavoro della letteratura sadomaso per signora, l’immortale Histoire d’O scritto da Pauline Réage, una signora un po’ lesbica e un po’ no, studiosa di preghiere antiche. Nel 1976, quarant’anni fa, L’impero dei sensi del giapponese Naghisa Oshima mise alla prova numerose coppie che tentarono di ispirarsi a un uso improprio dell’uovo sodo. Si era preso addirittura un Leone d’oro nel 1967 Bella di giorno del grande Buñuel, che era riuscito a turbare migliaia di mariti, mostrando solo una misteriosa scatolina nelle mani della splendente Catherine Deneuve, moglie dedita al piacere della prostituzione.
Adesso, con la prima cinesfumatura, si arriva al mistero femminile: perché la pornografia è diventata un mestiere quasi solo per signore, perché i suoi utenti sono soprattutto o esclusivamente donne. La genialità dell’autrice della trilogia pornodomestica, sceneggiatrice severa del film, la casalinga inglese ora miliardaria che si fa chiamare E. L. James, è di aver intrecciato il romanzo rosa con un po’ di sadomaso, una specie di fiaba consolatrice di tante vite femminili poco brillanti sessualmente; provvista di un principe azzurro con frusta a cento code e appassionato di manette. Il film non si allontana dalla pessima scrittura ma mostra ciò che le donne, e non solo quelle già deluse dalla vita, sognano in massimo segreto: un giovanotto bellissimo, ricchissimo (40 mila dipendenti! E mai che lo si veda lavorare) che dopo i suoi sadismi casalinghi, suona malinconico Chopin e beve prezioso Pouilly Fumé, pilota il suo elicott ero, ha un garage pieno di automobili, un candido appartamento immenso tutto di vetro e design a Seattle, e poi improvvisamente una “stanza dei giochi” tutta rossa, finto barocco, e strumenti crudeli tenuti in ordine come le sue cravatte e camicie nel grandioso guardaroba: si chiama Christian Grey e ha la faccia vuota e il ciuffo antipatico di Jamie Dornan, serial killer della serie tv The fall. È noiosissimo, però alla sua torturata del cuore regala auto e vestiti, e a un tipo così, l’uomo dei sogni più diffuso anche tra le ottantenni, come si può dire di no, e rifiutare la carezza negli anfratti più impervi del corpo, di una piuma di pavone?
Nel romanzo la storia è raccontata in prima persona dalla studentessa Anastasia, la vergine che si sacrifica per amore, nel film è la molto graziosa Dakota Johnson dagli occhi blu e dal corpicino adatto alle cinesevizie, piatto e per niente sexy. Si sa che un film per folle oceaniche non può più scandalizzare (questo in Usa è proibito ai minorenni, anche se sin da piccini, ne han già viste di ogni colore sugli appositi siti) e neppure eccitare, perché non si riesce a immaginare un’intera platea erotizzata e gemente): quindi natiche sì ma niente davanti, eliminando così i protagonisti dell’accoppiamento, molte frustate nel vuoto, nessun sedere ferito. Solo cose da innamorati tipo mascherina e altro, incentivi alla fantasia erotica che è quello di cui spesso le donne anche dai molti accoppiamenti, devono accontentarsi. Che se poi invece pretendessero davvero un Dominatore che le rendesse Sottomesse, sarebbe un guaio, perché trovare uomini disposti a frustarle per reciproco piacere, non è per niente facile.
Insomma, se qualcuno ne ha voglia bisognerebbe studiare perché al cinema il sadomaso non professionale viene male, assopisce la fantasia, lascia di ghiaccio, mentre il suo solo compito sarebbe quello di emozionare. Non sono venuti bene neppure i due film del brutale intellettuale Lars von Trier, Nymphomaniac 1 e 2, che era stato annunciato per mesi come superporno, e che pure mostra ogni tanto la faccia tumefatta per sadiche botte di Charlotte Gainsbourg, e visto molto di striscio, il suo sedere rosso di amabili frustate a pagamento.